A giorni la sentenza
Ambiente svenduto, processo annullato: la via Crucis dell’ex Ilva riparte a Potenza, quando la magistratura occupa i vuoti della politica
Tutto sbagliato, tutto da rifare. Gino Bartali, il grande ciclista toscano, ripeteva la frase ad ogni corsa, in cui la sua performance, veniva meno. La battuta si addice alla decisione presa dalla sezione distaccata di Taranto dalla Corte d’Assise d’appello di Lecce che ha cancellato la sentenza di primo grado del processo “Ambiente svenduto”, trasferendolo da Taranto alla procura di Potenza.
Laddove si trattano i problemi giudiziari controversi riguardanti nella fattispecie magistrati tarantini, in base all’art11 del Cp. Pomposamente definito “Processo del secolo”, si è rivelato uno spreco di tempo, di soldi e di sofferenze umane di tanti innocenti messi al ludibrio mediatico-giudiziario. Con una partecipazione insignificante dei tarantini, delle associazioni ambientaliste e quelle contrarie all’Ilva, alle udienze del più grande disastro ambientale e sanitario della storia d’Italia, al contrario, di quando scoppio l’inchiesta con arresti clamorosi e con indagati di alto rango. Insomma, ci fu un sommovimento populista – ambientalista e giudiziario con il sostegno dei mezzi di informazione.
La sentenza di primo grado fu emessa, nel maggio 2021, con spropositate condanne ai proprietari dell’Ilva, ossia la famiglia Riva, al management industriale e ad alcuni politici nazionali, regionali e locali. Alla luce della decisione della Corte d’Assise si grida alla “catastrofe giudiziaria”, usando il doppiopesismo. Il che succede quando si è costretti a giudicare con il fiato sul collo della numerosa parte civile. Una drammatica storia di inquinamento industriale, per responsabilità dello stabilimento siderurgico a ciclo integrale più grande d’Europa. L’Ilva fu acquistata a prezzi stracciati 2.500 miliardi per una valutazione pari a circa 4mila miliardi di lire. Era il tempo dell’assalto alla diligenza delle Partecipazioni statali.
La vendita da parte dell’Istituto di ricostruzione industriale Iri, ovvero lo Stato, avvenne nel 1995 e l’acquirente fu Emilio Riva. La famiglia Riva rilanciò l’azienda, investendo 1.2 miliardi di lire solo per l’ambientalizzazione e trasferendo anche l’area a caldo da Cornigliano a Taranto, così da aumentare la produzione di acciaio, oltre ogni limite sopportabile a livello ambientale e sanitario. La produzione arrivò anche oltre gli otto milioni di tonnellate. Nel 2012, il gip, Patrizia Todisco, dispose il sequestro dell’acciaieria per gravi violazioni ambientali. Vennero disposte misure cautelari a carico dei vertici aziendali. Tra questi il presidente dell’Ilva, Emilio Riva e suo figlio Nicola e, nel 2013, Fabio, il secondo genito. In base alla decisone della Corte d’appello, i suddetti impianti dell’area a caldo non sono più sequestrati.
La questione ambientale-sanitaria diventò centrale nel 2012. Ai primi di giugno intervenne il governo e, con un decreto, commissaria l’Ilva: arriva Enrico Bondi, poi affiancato da Edo Ronchi. Un anno dopo i due vengono sostituiti da Piero Gnudi e Corrado Carrubba. Ad aprile 2014, muore Emilio Riva. A gennaio 2015, l’azienda passa in amministrazione straordinaria e i commissari diventano tre: a Gnudi e Carrubba si affianca Enrico Laghi. Il 5 giugno, 2017, il ministro del Mise, Carlo Calenda firma il decreto di assegnazione dell’Ilva al colosso franco – indiano Acelor Mittal. Dopo un anno e più, novembre 2019, il governo M5s e Lega decise di cancellare lo scudo penale e Arcelor Mittal minacciò di recedere il contratto di affitto e il successivo acquisto dell’Ilva. Dopo un lungo braccio di ferro, nel mese di dicembre sottoscrissero una job venture tra Arcelor Mittal con il 62% e Invitalia il 38%, così lo Stato italiano ritorna nell’ex Ilva. Da Arcelor Mittal si passa ad Acciaierie d’Italia, AdI.
Una odissea destinata a continuare. Nella primavera del 2024 Invitalia chiese l’amministrazione straordinaria e il ministro Urso nominò tre nuovi commissari straordinari. AdI, di nuovo, tornò in mani pubbliche. A luglio, si è ripetuta la storia, nuovo bando di gara per nuovi acquirenti. A dicembre, sapremo la sorte di AdI, ci sarà lo spezzatino, vale a dire venduta a pezzi, oppure, una cordata di siderurgici acquisterà AdI. Sin dall’udienza preliminare gli avvocati della difesa, tra cui Giandomenico Caiazza, si opposero che si svolgesse il processo “Ambiente svenduto” a Taranto. Si trattava per via della presenza di alcuni magistrati che si sono costituiti parte civile, oltre al fatto che molti magistrati vivono in quartieri in cui ci sono state le vittime che nel processo di primo grado avevano ricevuto degli indennizzi per i danni sanitari causati dall’inquinamento. Tra quindici giorni è attesa la sentenza. Quando la politica latita, la magistratura interviene occupando il vuoto lasciato dalle istituzioni e dal governo. Non tenendo contro che, talvolta, i problemi industriali, ambientali ed occupazionali non si risolvono con il codice penale.
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