Il trasformismo, materia sulla quale Giovanni Giolitti improntò la sua disciplina parlamentare, consisteva nell’assumere – da parte dei medesimi parlamentari, in assetto di maggioranza variabile – posizioni politiche diverse a seconda delle opportunità e convenienze. Se nella dottrina politica Giolitti ha il copyright sull’origine della pratica, Giorgia Meloni è medaglia d’oro nella sua interpretazione contemporanea. Un trasformismo 2.0, naturalmente. Perché senza cambiare la maggioranza, oggi è la stessa compagine – e la stessa Presidente del Consiglio – a mutare posizione, convertendosi camaleontisticamente a seconda del trend del momento. Un po’ Giolitti, un po’ influencer, Meloni va dove la porta il vento. O le situazioni, le regole, le indicazioni che quando si governa, al contrario di quando si sta all’opposizione, vanno rispettate.

Giustizia

C’è un Maradona vero e proprio, nel campo del garantismo. Si chiama Carlo Nordio, ed è un ex magistrato che ha da sempre il pallino della giustizia giusta. Un giurista dalla tempra forte e dal programma deciso, che non ha mai nascosto di voler fare sul serio. Giorgia Meloni lo vuole in squadra, lo blandisce, infine lo convince ad accettare l’incarico di riformare il sistema giudiziario italiano, più volte richiamato e perfino sanzionato dall’Europa per le sue iniquità, dallo strapotere dei magistrati alla gogna mediatica, dagli errori giudiziari impuniti alle condizioni disumane delle carceri, dai tempi inaccettabilmente lunghi dei processi all’autoreferenzialità del Csm. Nell’ottobre 2022 Meloni lancia il programma del suo governo: «Garantisti fino alla condanna definitiva. Vogliamo intervenire con decisione per cambiare l’ordinamento giudiziario». Ecco, la Giorgia Meloni del 2024 appare molto meno decisa. Carlo Nordio, che doveva fare il capocannoniere del Governo, è finito in panchina. Delle sue riforme è rimasta l’ombra.

Qualche intervista, qualche intendimento. Il Csm rimane intangibile, l’Anm protesta a ogni pié sospinto, ricacciando le promesse elettorali nel vuoto. Nella conferenza stampa di inizio anno Meloni ne parla a malapena e controvoglia: «Certo, siamo contrari ad ogni ipotesi di amnistia. Le celle sono sovraffollate? Vanno costruiti più istituti di pena». E sull’emendamento anti-gogna voluto da Enrico Costa, manca poco alla presa di distanze: «È stata una iniziativa delle opposizioni». Quanto poi al rafforzamento degli uffici giudiziari, «priorità del nostro Governo», diceva nella conferenza stampa che ha fatto seguito al Consiglio dei Ministri del 31 ottobre 2022, oggi si apprende che i primi 50 posti messi a bando per la Procura di Milano sono andati a vuoto. I 1500 euro al mese per il superlavoro degli addetti agli uffici del processo non hanno attirato nessuno. La garantista Meloni, d’altro canto, è la stessa che ogni mese chiedeva le dimissioni di questo o quel ministro nei governi dei quali era all’opposizione. Lì per una polemica, là per un avviso di garanzia. Rimane memorabile l’intemerata per pretendere il passo indietro della ministra Federica Guidi, appena attinta da una inchiesta finita con un nulla di fatto. Al tempo Meloni non aveva ancora aperto il vocabolario alla voce Garantismo.

Migranti

Tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare. Ce lo ricorda la rete – non quella dei pescatori, quella del web, che pesca anch’essa – quando impietosamente riporta alla luce i tanti video con i discorsi di Giorgia Meloni del 2019, 2020, 2021, 2022… «La proposta più seria per fermare i migranti si chiama Blocco Navale. E la abbiamo sempre fatta noi!», si sente Meloni urlare ora da un palco, ora dal suo scranno in Parlamento. Poi arrivano le elezioni vinte da Fratelli d’Italia («Pronti!», ricordate?) e quella stessa Giorgia Meloni china il capo davanti alla realtà. Al bagno di realtà che purtroppo coincide anche con quei tanti migranti morti in mare, qualcuno proprio davanti alle coste italiane, come a Cutro. «Il momento più difficile dell’anno passato», ammette Meloni, improvvisamente mesta, in conferenza stampa. Come la pensa oggi, avendo a disposizione la più ampia maggioranza e dalla sua il ministro della Difesa, di quel Blocco Navale che era tanto semplice, così immediato nelle sue parole? «Le migrazioni? Ci confrontiamo con sfide epocali. E chiaramente si possono fare diverse iniziative che ti danno un consenso immediato ma non risolvono niente sulla media distanza». Giorgia Meloni del 2024 smentisce, sbugiarda e capovolge la Giorgia Meloni del 2022. I dati e le cifre d’altronde non affondano con le onde: gli sbarchi in Italia sono praticamente raddoppiati nel corso del primo anno del Governo Meloni.

Nato e Putin

Sulla postura internazionale dell’Italia Giorgia Meloni ha detto tutto e il contrario di tutto. «Dobbiamo tenere fede agli impegni al fianco dell’Alleanza Atlantica, a sostegno dell’Ucraina aggredita dalla Russia di Putin», ha scandito nel discorso di insediamento pronunciato a Montecitorio dopo il suo giuramento. A qualche metro di distanza, i banchi di Fratelli d’Italia, nell’emiciclo, ascoltano in silenzio. Se quegli scranni potessero parlare, riavvolgendo il nastro, farebbero udire la stessa voce di Meloni, deputata del gruppo Fdi-Alleanza Nazionale che l’1 ottobre 2014 (dopo che Putin aveva annesso militarmente la Crimea, primo atto dell’occupazione ucraina) si sbracciava per gridare: «Abbiamo depositato una mozione perché il governo affronta la questione dei nostri rapporti con la Russia con leggerezza. La questione delle sanzioni alla Russia e delle conseguenti controsanzioni russe contro di noi è gravissima. Questa scelta peserà sulla nostra economia». E poi, non contenta, spiegava che la dipendenza dalla Russia andava preservata per diverse ragioni: «Non è solo questione di amicizia e commercio. Cosa accadrebbe un domani se la Russia decidesse di interrompere le forniture di gas all’Italia? Vogliamo rischiare questo per una politica estera europea? A me sembra che stiamo solo eseguendo gli ordini degli americani, proprio nel momento in cui avremmo più bisogno dell’aiuto della Federazione Russa anche per combattere il fondamentalismo islamico». E infine una perla: «Avremmo bisogno di promuovere il ruolo dell’Ucraina fuori dalla Nato. L’argomento della difesa dell’Ucraina non ci convince, faccio notare che in molte altre occasioni l’Occidente è rimasto a guardare». Quell’ambasciata per la Russia che iniziava ad aggredire Kiev non è rimasta isolata. Il libro «Io sono Giorgia», uscito con Rizzoli nel maggio 2021, due anni e mezzo fa, la inchioda a una smaccata ammirazione per Putin: «Incarna i valori della sovranità nazionale e della Cristianità», lo elogiava Meloni. «Rimettiamoci la maglia, i tempi stanno per cambiare», deve aver pensato con le parole di Franco Battiato quando ha vinto le elezioni. Ed eccola l’altro ieri al telefono con Zelensky, assicurargli lealtà sulla linea dura anti-Putin.

Economia

Meloni aveva promesso crescita e investimenti. L’Italia di oggi però non cresce. A giugno, rispetto all’anno precedente, la produzione industriale dell’Italia è calata dello 0,8 per cento (e nella media del secondo trimestre il livello è calato dell’1,2 per cento rispetto ai tre mesi precedenti). Eppure Giorgia Meloni parla di orgoglio degli italiani. Fa addirittura il Ministero del Made in Italy. Peccato che la manifattura italiana prosegua il suo declino. Stellantis ormai produce in Francia il doppio delle auto italiane, e andrà a fare la nuova Panda in Serbia e la 600 in Polonia. Di fronte a questa agonia, la soluzione sbandierata è stato un miliardo di incentivi che, come ha detto platealmente, servirà ad aumentare le auto prodotte in Italia. Peccato che se lo legge l’Europa lo impugna per aiuti di Stato. Dall’altra parte rispetto all’inflazione che diminuisce grazie ai tassi della Bce, criticati da Meloni, Urso ha il coraggio di dire che è merito del carrello tricolore.

Crisi Industriali

Giorgia Meloni si era candidata promettendo che avrebbe bloccato la vendita di Alitalia che doveva restare italiana. Addirittura da leader dell’opposizione aveva scritto una lettera a Mario Draghi chiedendogli di bloccare l’operazione. Il governo Meloni non solo sta vendendo Alitalia a Lufthansa, ma il premier in persona ha anche accusato l’Europa di rallentare questa operazione. Anche in questo caso senza aver mai ammesso «ci eravamo sbagliati». E poi c’è Ilva. Nel messaggio di inizio anno del 2023 Giorgia Meloni aveva promesso che avrebbero fatto ritornare lo stabilimento di Taranto la più grande acciaieria d’Europa. È passato un anno invano e la fabbrica si sta spegnendo tra crisi industriale, finanziaria e societaria con il governo che una settimana fa ha detto ai sindacati «non abbiamo letto le carte». Se Conte voleva essere quello che ha abolito la povertà, Meloni sarà quella che ha abolito la ricchezza. Scherziamo ovviamente. E se ci sono state misure fiscali, fatte a debito, per accontentare i più disagiati, certamente è la classe media a stare peggio. Ma che non ha visto una riduzione delle tasse, con un governo che va persino ad aumentarle sulla casa. Ha abolito il reddito di cittadinanza, «metadone di stato», ma dall’altra parte Meloni continua a firmare cassa integrazione straordinaria per aziende decotte, o per i portuali, con il bluff di reindustrializzazioni che non ci saranno mai.

Lobby e Corporazioni

Giorgia Meloni dice di non piegarsi ai ricatti delle lobby. E invece proprio lei difende gli interessi di corporazioni che bloccano il Paese a svantaggio della collettività. Tassisti, balneari, banche: con la scusa di non fermare chi fa, ne tutela i privilegi a danno della libera concorrenza e quindi dei consumatori. Non ci aspettavamo Margaret Thatcher, ma neanche un Fidel Castro col caschetto.

Cultura e Istruzione

Qui il governo è totalmente latitante. Nella convinzione che sarebbe bastato sostituire il pantheon dall’egemonia gramsciana a Tolkien, tra i ministeri di Cultura, Istruzione e Università l’unica riforma che finora hanno prodotto è il corso di studi sul Made In Italy. Insegneranno agli studenti a chiedere di andare in bagno, come Giorgia Meloni in conferenza stampa.

Aldo Torchiaro e Annarita Digiorgio

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