Da quando Giorgia Meloni è rientrata a Roma dalle vacanze, fino al consiglio dei ministri di ieri, il premier è rimasto a guardare ed analizzare i prezzi della benzina, cercando prima che una soluzione, una motivazione al loro costante aumento. Che è partito in un momento preciso: esattamente dall’1 agosto, data da quando Urso ha imposto ai distributori l’affissione del cartello col prezzo medio. E ci è rimasto solo il ministro a non vedere questo aumento, nonostante sia proprio il suo ufficio a pubblicare i prezzi. Per il ministro del fu dicastero dello sviluppo, è colpa dei camionisti che non sanno scegliere la pompa più conveniente, mentre preferiscono andare al servito nell’unico distributore sopra i due euro (ha detto davvero anche questo!).

Del resto in Italia abbiamo il prezzo industriale della benzina più basso d’Europa dice Urso (anche se non è vero), sono le accise a renderlo salato. Ma lui non vuole toglierle. Perché servono per pagare la social card con cui i cittadini meno abbienti potranno pagare la benzina diventata cara per colpa delle accise. In un corto circuito senza fine: ti aumento le tasse benzina per regalarti i bonus benzina. E ancora una volta Urso sconfessa la linea del governo, che invece sin dal principio si era prefissato di abolire i vari bonus retaggio della stagione contiana, per abbassare le tasse a tutti. Lo ha urlato domenica sera Tajani nella piazza di Ceglie: “Meno Stato e più impresa, con lo Stato che deve fare lo Stato, e l’impresa deve fare l’impresa”. E mentre Meloni da settimane non sopporta più il proliferare di interviste di Urso (a fronte di colleghi come Fitto che non hanno mai rilasciato una intervista a un quotidiano da quando è divenuto ministro); lui insiste. Domenica, non soddisfatto delle figuracce raccattate dichiarando su stato stratega e blocco dei prezzi, si è messo a parlare anche di migranti andando in visita all’hotspot di Lampedusa. E anche qui ne ha fatta una delle sue, smentendo completamente le posizioni di Donzelli: “Grazie al Governo Meloni abbiamo evitato che gli sbarchi fossero molti, molti di più – aveva detto la settimana scorsa il responsabile organizzativo di Fratelli d’Italia – Finalmente sono aumentati anche i rimpatri. Dalla Tunisia sono incrementati del quasi 200% le persone che sono state fermate, in buona parte il cosiddetto blocco navale tanto criticato, in accordo con la Tunisia ha cominciato a funzionare”.

Tutto smentito ieri da Urso: “Siamo d’avanti a un fenomeno straordinario: l’Europa deve capire che l’Italia non può essere lasciata sola”. Quindi abbiamo risolto o siamo di fronte a un fenomeno straordinario? Ma perché Urso dichiara sulla qualunque, mettendo in difficoltà anche il governo? Era successo anche con Ilva: lui insisteva a dire che voleva mandare via il privato per statalizzarla, finché Meloni non è stata costretta a togliergli il dossier per affidarlo al ministro Fitto, che ha ben altro approccio alla materia, volto al taglio della spesa pubblica e meno incline alle sirene del populismo locale. Mentre Urso c’è riuscito con Tim dove, dopo decenni di privatizzazione, lo stato sta entrando con 2,5 miliardi, anche se più volte il governo aveva promesso che il pubblico non sarebbe intervenuto.

Si vede che l’Urso reganiano, come lui stesso ha detto che veniva definito da giovane, ha ceduto il passo all’Adolfo Urss sovietico. Non ce ne vorrà il ministro se continuiamo, benevolmente, a chiamarlo così. Ma stiamo analizzando le varie operazioni che sta portando avanti e da cui è nato questo simpatico soprannome. Con cui oggi lo chiamano praticamente tutti, da destra a sinistra. Può naturalmente risponderci nel merito quando vuole. Ci fa piacere confrontarci. Accusarci di complotti orditi da Uber, Mittal o altre multinazionali, e passare lui sì queste veline, è un altro punto che Urso perde rispetto a sé, agli occhi del premier Meloni, alla verità, e alla cosa a cui i reganiani (quelli veri) tengono di più: la libertà.

Annarita Digiorgio

Autore