E adesso che la palla è entrata in quella porta: quella stessa porta, allo stesso minuto, stesso stadio, stesso avversario, e la felicità esplode in petto così forte che fa male, che dolore, perché doveva arrivare prima o poi questa gioia e si doveva essere insieme. E invece no. Peppe se lo meritava, se lo meritava più di tutti questo Scudetto del Napoli, il terzo nella storia, il primo a 33 anni dall’ultimo. Giuseppe Palomba l’aveva vista crescere e cambiare questa squadra: l’aveva vista fallire, rinascere, salire e salire, squadra simpatia e squadra da battere, l’aveva seguita in tutta Europa, a sfiorare la vittoria senza raggiungerla e a provarci ancora. E invece no. Vito non ci può pensare, non ci può pensare lui e non ci possono pensare gli altri amici, tifosi anche loro, i familiari che con Peppe avevano condiviso la sua passione per il Napoli. Peppe non ha fatto in tempo. “Che vi siete persi” recitava la scritta davanti al cimitero di Poggioreale al primo Scudetto dell’era Maradona, nel 1987. Peppe Palomba però è morto a dicembre, aveva solo 43 anni: neanche un minuto vissuto senza tifare per il Napoli.

Vito Letizia e Peppe Palomba si erano incontrati grazie al pallone, alla Turris Octava di Torre del Greco, calcio a cinque. Il primo calciatore, il secondo dirigente. Quando quell’esperienza era finita avevano fondato la Stella Nascente. Sempre calcio a 5, serie D. Era il 2012. Vito allenatore – oggi guida la rappresentativa Under 19 campana -, Peppe dirigente. E quando era partita l’era De Laurentiis si erano abbonati insieme, avevano coniugato anche quell’altra malatìa in comune. Le nottate a parlare di schemi, le telefonate interminabili, la suspense per i sorteggi a Nyon, gli appiccichi su un giocatore o su un altro, della Stella o del Napoli. “Lui per esempio apprezzava Mario Rui, gli piaceva che facesse sempre la sua prestazione a testa alta, io lo schifavo. Alla fine ha avuto ragione lui ma il suo preferito è sempre stato Lavezzi“. La prima trasferta insieme a Manchester: City-Napoli, l’esordio azzurro in Champions League. 1 a 1 con sgroppata di Maggio e gol di Cavani. E chi se lo scorda.

Appresso al Napoli in giro per l’Europa il gruppo si è allargato, si sono aggiunti Gianni, Fabio, Diego, Ivano e Giovanni. L’amicizia si è costruita nelle trasferte e si è riflessa al San Paolo. L’ansia cominciava con i sorteggi, le attese per prendere i biglietti, la scelta dell’aeroporto, il viaggio. “Sempre toccata e fuga. Arrivavamo, facevamo il corteo, vedevamo la partita e il giorno dopo tornavamo”. A Londra, ottavi di finale di Champions, l’esplosione di gioia pura al gol di Inler che però non era bastato. A Lisbona avevano avuto il tempo di farsi accompagnare in giro per la città nell’Apecar di Vasco. A Salisburgo avevano rischiato le mazzate. A Eindhoven, per qualche motivo ancora misterioso, Peppe era stato fermato dalla polizia all’aeroporto: se l’erano tenuto un’ora e mezza, nessuna conseguenza. A Londra i tifosi del Millwall avevano accompagnato i gemellati del Napoli in corteo: quando erano passati davanti al bar dei rivali del West Ham gli erano piovuti addosso tavolini, sedie, bicchieri, qualunque cosa. La trasferta più brutta a Roma, la notte del 3 maggio 2014, quella della finale di Coppa Italia, quando venne ucciso Ciro Esposito. Quella più bella a Wolsfburg: 1 a 4 per l’altalenante squadra di Benitez. A Belgrado Vito non c’era: Peppe si innamorò del Marakàna. “Vito non puoi capire: solo là e a Dortmund non riuscivo a sentire chi era a fianco a me. I tifosi della Stella Rossa fanno paura”.

Perché Peppe Palomba era affascinato dal mondo degli ultras. Aveva lasciato il lavoro da commercialista per aprire il suo negozio a Napoli, il Gate 109, vendeva abbigliamento urban, da stadio. La sua passione l’aveva nutrita in anni di trasferte in cui il gruppo di amici aveva visto crescere sempre di più l’ostilità verso il Napoli e i tifosi del Napoli. Anni sugli spalti del San Paolo con Iole, la sua compagna, la madre di sua figlia. Quando ha scoperto la malattia era pieno lockdown: quando sembrava che qualsiasi sintomo fosse covid, quando allo stadio non si poteva andare, quando non è mai stato così chiaro quanto siano fondamentali le cose inutili, le passioni, quelle che uniscono e che costruiscono i ricordi che restano. “Ci è crollato il mondo addosso ma lui non ci ha mai fatto pesare nulla. A volte appena ne parlava, non voleva lo accompagnassimo a fare le chemio. Aveva deciso di viversi tutto e così ha fatto. Grazie a una cura sperimentale era tornato a essere lui e siamo rinati tutti”. Quando il 25 novembre 2020 è morto Diego Armando Maradona il pellegrinaggio degli amici per lasciare una maglietta fuori allo stadio a Fuorigrotta.

A Wolfsburg

Peppe Palomba a inizio campionato terziava qualcosa. “Era fiducioso per la pausa Mondiali: perché le squadre di Spalletti partono sempre forte e calano nella seconda parte della stagione. Si aspettava vincessimo qualcosa”. Peppe però sentiva anche qualcos’altro: “Spero di vederlo uno Scudetto, prima”. Non si è fermato neanche quando il tumore è tornato, si è allargato. Ad Amsterdam con l’Ajax l’ultima trasferta: ha visto confermata la classe di questo ragazzo sconosciuto pescato in Georgia, Kvaratskhelia. L’ultima volta allo stadio con l’Udinese in casa: 3 a 2. Era il 12 novembre. “Il giorno dopo ha voluto organizzare con noi del gruppo un pranzo, ha fatto la spesa e ha cucinato lui. Perciò dico che sentiva qualcosa”. È morto giusto un mese dopo. Lo hanno ricordato su giornali e pagine social. Al funerale fumogeni e cori. A Francoforte la prima trasferta senza Peppe. Come sempre Vito aveva preso il biglietto anche per lui ma allo stadio è arrivato con il drappo dedicato all’amico: “Peppe Vive”. Un’altra coincidenza: “Dentro sono scoppiati gli scontri ma mi hanno clonato il biglietto, allo stadio non sono entrato. Doveva andare così”.

Quando Raspadori ha messo dentro al volo il gol Scudetto contro la Juventus, Vito ha pensato automaticamente a quella sera del 2018 quando Koulibaly segnò contro la stessa squadra, in quella stessa porta, nello stesso stadio, quasi allo stesso minuto. Era a casa con Peppe e gli altri, la trasferta a Torino era vietata e il Napoli non era mai stato così vicino allo Scudetto dal 1990. Quella che doveva essere solo gioia pura è stata qualcos’altro per tutto il gruppo di amici: non esiste una parola per descriverla. “Mi sono ripassate davanti agli occhi tutte le cose che abbiamo fatto insieme, la nostra amicizia, le fotografie. Non ho dormito, non sarà mai più la stessa cosa, niente sarà più lo stesso. Il dolore e la gioia viaggeranno sempre in parallelo. Aspettavamo questo momento da anni, nessuno se lo meritava come lui“. L’ufficialità della vittoria potrebbe arrivare domani: contro l’Udinese.

A Napoli quando vogliono essere fatalisti dicono che “stiamo sotto il cielo”, che può succedere tutto da un momento all’altro. “Peppe ci ha lasciato un grande insegnamento: si è goduto tutto fino all’ultimo. Non ci ha mai fatto pesare la malattia. Era come un cerchio che doveva chiudersi e invece non è andata così, è finita in pochissimo tempo. A volte mi piace pensare che dov’è ora sicuramente sarà in buona compagnia, sicuramente avrà fatto amicizia e starà festeggiando lo Scudetto anche lui”. Peppe Palomba era un tifoso, un patito del Napoli, ma era anche altre cose. Un padre, un figlio, un compagno, un amico. Che cosa si è perso lui ma quanto hanno perso anche gli altri che ora festeggiano, piangono, pensano a quanto è bastarda questa vita, la stessa vita che gli ha dato il pallone, Napoli, questo Napoli, questo Scudetto, queste lacrime: che gli ha dato Peppe.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.