I nazisti l’avevano chiamata “Questione zingara” e avevano deciso che andasse risolta al più presto. Dichiarati razza inferiore, Rom e Sinti vennero prima deportati e internati, poi costretti ai lavori forzati, quindi sterminati. Perirono più di mezzo milione di persone, ma ci fu un giorno speciale, un giorno che va ricordato da tutti, in cui Rom e Sinti diedero luogo a quella che è forse l’unica ribellione organizzata registrata in un campo di concentramento nazista: il 16 maggio 1944.

Le deportazioni iniziano nell’autunno del 1941. Oltre 5.000 Rom e Sinti vengono deportati dall’Austria al ghetto ebraico di Lodz e qui rinchiusi – ammassati – in un settore speciale separato dal resto dell’area. Date le condizioni igieniche, l’assoluta assenza di cure mediche, il freddo e la sottoalimentazione, dopo pochi mesi dei deportati ne resta soltanto la metà, che le SS e i funzionari di polizia trasferiscono nel campo di sterminio di Chelmo e quindi uccidono nelle camere a gas. Nuovo rastrellamento nel dicembre del 1942, e questa volta in grande stile. Tutti i Rom e Sinti che vivono nella cosiddetta “Grande Germania” finiscono nei campi, molti di loro ad Auschwitz-Birkenau, anche qui separati dagli altri prigionieri, riuniti in uno spazio (minimo) dedicato esclusivamente a loro, lo Zigeunerlager, il “campo degli Zingari”.

Era stato decretato che alcune categorie fossero esenti dalle deportazioni: chi stava prestando o aveva prestato servizio nell’esercito tedesco, chi si era integrato perfettamente nella società, e infine chi potesse dimostrare di avere “puro sangue” zingaro, cioè discendenza zingara da più generazioni. I mezzo sangue erano considerati più “scadenti” e “pericolosi” dei puro sangue. Ma nei rastrellamenti a questi particolari non si bada. Accade così di frequente che non solo siano presi e portati via puro sangue e famiglie con un lavoro stabile, ma anche, crudele paradosso, militari Rom o Sinti che essendosi distinti nell’esercito stanno trascorrendo qualche giorno di licenza premio. Nei campi, alle epidemie di vaiolo, tifo e dissenteria, si aggiunge lo spauracchio degli esperimenti. I prigionieri non sanno che fine facciano quelli che tra loro vengono prelevati e non tornano più, ma il fatto che spesso si tratti di bambini e/o di gemelli fa loro immaginare ogni sorta di orrore. La storia li ricostruirà dettagliatamente, questi orrori. Esperimenti “scientifici” autorizzati, in cui si distingue il dottor Mengele, capitano delle SS.

Gli Zingari del campo di Auschwitz-Birkenau a maggio del 1944 sono più che decimati. Nelle camere a gas sono finiti, a marzo, molti dei sopravvissuti alle malattie e agli stenti, ma qualche migliaio resiste, e allora si pensa a una soluzione drastica: liquidare definitivamente la sezione dello Zigeunerlager, uccidendo tutti in una volta.
Qualcuno però parla, e il campo viene avvertito. Quando le guardie circondano lo Zigeunerlager ed ordinano a tutti di uscire, ricevono come risposta un rifiuto. I prigionieri si sono messi d’accordo e hanno deciso di tentare, più per orgoglio che pensando al successo, una disperata resistenza. Con gli strumenti del loro lavoro di schiavi – tubi di ferro, martelli, vanghe, picconi, pale -, i prigionieri resistono al di là delle loro forze, prendendo di sorpresa le guardie e, dopo alcuni morti dall’una e dall’altra parte, costringendole a desistere. La strage è solo rimandata di qualche mese, ma nell’ambito della tragedia del Porrajmos, come è chiamato in lingua romanì il massacro nazista di oltre mezzo milione di Rom e Sinti, non smetterà mai di essere ricordato.