A questo punto, mi si passi la battuta, si può dire che anche Trump (come Mussolini) ha fatto cose buone. Con l’attacco ai siti nucleari iraniani almeno una l’ha fatta, comunque. È vero, il tycoon newyorkese è sconsiderato, incompetente, maschilista, ignorante, pericoloso, xenofobo, razzista, isolazionista, protezionista, populista e, anzitutto, imprevedibile. Tuttavia, non è certo sprovvisto di fiuto politico. Con la sua mossa, ha rovesciato il tavolo da gioco. Con il principale alleato di Teheran, forse stanco di essere preso in giro dal suo “amico” Putin. Con i suoi “ex alleati” europei, infognati in sterili tentativi di riaprire un fantomatico negoziato con gli ayatollah.

La partita non è chiusa

Per altro verso, sfidando la sua stessa base politico-elettorale, non ha voluto regalare solo a Benjamin Netanyahu il merito del “lavoro sporco” compiuto per conto dell’Occidente. Da ultimo, ma non per ultimo, ha consolidato la sua strategia di appeasement con le potenze regionali che più gli importano: Arabia Saudita ed Emirati sunniti (spettatori silenziosi e interessati al declino di Ali Khamenei). “Game, set, match”, allora? No, la partita non è ancora chiusa. Alla luce dell’indebolimento dell’Iran e dei suoi proxy, la reazione attesa passerà probabilmente per gli Houthi, il movimento meno danneggiato, oppure si concretizzerà in un’escalation cyber contro Washington e i suoi alleati. Né si possono escludere ritorsioni dirette contro il personale statunitense in Medio Oriente, come minacciato dalla televisione statale iraniana, o la chiusura del traffico nello Stretto di Hormuz, già approvata dal Majles (Parlamento).

Difficile valutare, inoltre, le prospettive di un “regime change”. Il regime è sicuramente inviso alla maggioranza della popolazione, ma una guerra che coinvolgesse oltremisura i civili potrebbe innescare un classico effetto “rally around the flag” (letteralmente, “effetto raggruppamento attorno alla bandiera”). E, poi, esiste un’opposizione interna pronta a prendere il potere? Non c’è il rischio di un vuoto di autorità che scateni lotte intestine incontrollabili?

Non c’è spazio per posizioni terziste

Sono le domande, legittime e serie, che in queste ore molti analisti si stanno facendo. Assai diverse -va sottolineato- dai lamenti dei democratici americani, dei Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez che protestano perché il Congresso è stato scavalcato. E assai diverse dagli ammonimenti rituali di Elly Schlein, secondo cui “serve una de-escalation diplomatica, non una corsa verso il conflitto”. Ma oggi non c’è spazio per posizioni terziste, cioè antioccidentali. Bisogna scegliere da che parte stare. Per riprendere una metafora cara a Julien Benda, tra Michelangelo che rinfaccia a Leonardo la sua indifferenza alle sventure di Firenze, e Leonardo che risponde che lo studio della bellezza occupa tutto il suo cuore, chi ama la democrazia non dovrebbe avere dubbi a schierarsi con lo scultore della Pietà.