Il fuoco che ti porti dentro
Andrea Bajani in corsa per il Premio Strega con “L’anniversario”: se ogni famiglia è felice a modo suo

“Tutte le famiglie felici si assomigliano; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. L’incipit, celeberrimo, dell’Anna Karenina di Tolstoj è assurto quasi a principio scientifico grazie al naturalista americano Jared Diamond (“il principio di Anna Karenina” appunto). Questo spiega che il successo di un esperimento dipenda da una serie definita di fattori da rispettare, senza escluderne nessuno, pena il fallimento. Un’interpretazione più letterale del principio riguarda, invece, proprio i fattori della felicità familiare, nella quale potremmo includere condizioni economiche confortevoli, capitale sociale e culturale, attrazione sessuale e affettiva fra i genitori.
Il breve racconto di Andrea Bajani, entrato meritatamente fra i dodici in concorso per il Premio Strega di quest’anno, sembra invece postulare l’ipotesi opposta. Oggi, dove il postmoderno ha lasciato il passo a rapporti sfilacciati misti a uno strano relativismo nostalgico, e dove uomini che odiano le donne si sfogano troppo spesso nel femminicidio, è come se il principio di Anna Karenina si sia capovolto. Tutte le famiglie infelici si assomigliano; ogni famiglia felice è felice a modo suo. Metodologicamente non cambia niente, nella sostanza tutto. Il romanzo (o saggio?) di Bajani narra vicende diventate, per certi versi, quasi un filone letterario, ripetuto solo in mesi recenti in altri romanzi familiari, dal dissacrante “Il fuoco che ti porti dentro” di Antonio Franchini al più onirico “La casa del mago” di Emanuele Trevi. Un filone composto da scrittori, generalmente maschi, che si confrontano con gli squilibri, gli abusi e i fallimenti di famiglie dalle relazioni tossiche.
La prosa di Bajani, precisa come un bisturi e ritmata come uno studio di Bach, ha in comune con Franchini e Trevi il disagio della famiglia tradizionale, i disastri del patriarcato, gli abusi psicologici che sfociano talvolta in violenza fisica. Il tutto ancora radicato nel retaggio ancestrale della morale cattolica, anch’essa rovesciata come scriveva Edoardo Albinati in quello che è forse il romanzo capostipite di questo filone (il monumentale “La scuola cattolica”): una morale dove alla violenza si porge l’altra guancia, dove la castità è condizione naturale e dove la concezione è immacolata.
È lecito pensare che nella Russia ottocentesca di Tolstoj ci fossero tanti altri problemi ma non questi. Nell’Italia di questo scorcio di ventunesimo secolo, dove la famiglia del Mulino Bianco esiste solo nella TV generalista che guardano i boomers, le vie della felicità familiare sono quantomeno molteplici. Passano attraverso mutamenti epocali sulle questioni di genere, la maternità surrogata, una società maledettamente liquida e rapporti di sangue annacquati. La formula della felicità familiare in questa Italia sempre più laica, anziana, svogliatamente multietnica, è determinata dalle variabili più diverse.
La formula dell’infelicità, invece, è sempre la stessa ed è quella cesellata da Bajani. Il quale, però, alza l’asticella e introduce un passaggio ulteriore, rivoluzionario: quello della cesura dalla famiglia disfunzionale. Questo è un altro trauma tutto nostrano. In Europa settentrionale, per esempio, il ruolo di protezione sociale del nucleo familiare viene preso quasi completamente in carico dallo Stato, così che con i genitori rimane soltanto un legame genetico e legale, e talvolta neanche quelli. In Italia invece, per cultura e per storia, il legame genetico e legale è sempre collegato a qualcosa di atavico e viscerale e spezzarlo è un atto assieme eroico e tragico.
E dunque, come per un sillogismo perfetto, una rottura familiare che regge da dieci anni diventa qualcosa da ricordare: l’Anniversario appunto. A ben vedere, non è chiaro se l’Anniversario sia qualcosa da celebrare o da commemorare. Il protagonista del romanzo sostiene alla fine di star bene, ma non chiarisce se l’Anniversario sia un nuovo timido inizio o una morte scampata. Non lo scrive perché non può saperlo. In questa sospensione, in questo lutto che diventa salvezza, c’è tutta la formula rovesciata dell’Anna Karenina dell’infelicità.
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