L'appello
Appello a Bonafede: il governo non può lasciare ancora soli gli avvocati
Sì, signor ministro, mi rivolgo ancora a lei. Nei giorni scorsi è stato sottolineato sul Riformista che, per colpa della crisi economica che stiamo vivendo, ogni mese si cancellano tantissimi avvocati dai rispettivi albi professionali di appartenenza. Per esempio, a Napoli, ci sono in media 25 cancellazioni al mese e non solo di colleghi ultrasessantenni, ma soprattutto di giovani neoiscritti che collaboravano stabilmente con studi legali oppure vivevano di adempimenti e sostituzioni retribuite. E il Covid rappresenta senz’altro una delle cause di maggiore rilievo, ma non l’unica causa.
Le relazioni economiche nel nostro territorio hanno fatto emergere discipline in parte diverse, a cominciare dalla concorrenza per finire con la grande contrattualistica commerciale e con l’ambiente, che hanno costretto i giovani avvocati a specializzarsi non solo lontano da Napoli, ma addirittura all’estero. Dunque, la crisi pandemica ha certamente aggravato la crisi della professione e la politica, signor ministro, non sta certo aiutando i liberi professionisti e gli avvocati. L’Organismo congressuale forense (Ocf), ha più volte denunciato tutto ciò. Le misure attuate dal Governo – il decreto Ristori, il Ristori bis e ora anche il Ristori ter – non prendono affatto in considerazione noi liberi professionisti che già eravamo stati ingiustamente discriminati dalle precedenti misure adottate a sostegno delle categorie economiche penalizzate dalla pandemia. Acuti osservatori hanno già avuto modo di indicare come l’emergenza sanitaria abbia fatto esplodere la disparità fra la categoria dei cosiddetti “garantiti” e quella di coloro che non possono accedere alle tutele sociali.
I liberi professionisti si sono trovati esposti, più di altri, al rischio di perdere la fonte del proprio sostentamento: in particolare gli avvocati che nel 2020 hanno subito il blocco quasi totale dell’attività giudiziaria (soprattutto in alcuni territori come quello napoletano) e hanno dovuto lottare per evitare la totale paralisi della giustizia che avrebbe portato alla negazione delle tutele dei cittadini. In più, gli avvocati hanno dovuto chiedere con dignità di esercitare la giurisdizione in sicurezza e nella salvaguardia del diritto alla salute soprattutto negli uffici del nostro territorio partenopeo, fatiscenti e non idonei a ospitare le attività di amministrazione della giustizia. Del resto, quelle pochissime risorse finora stanziate a sostegno delle professioni, che hanno avuto natura eminentemente assistenziale, sono state previste per periodi molto limitati, erogate con importi a volte irrisori e attribuite con criteri discutibili. Tutto ciò in un quadro allarmante soprattutto per il futuro. La crisi in atto, la cui durata sarà ben superiore alla pandemia, investirà in modo generale tutta l’avvocatura in una prospettiva temporale di breve-medio periodo.
Le previsioni sulla crescita nel nostro Paese nel 2021 oscillano tra il -10 e -15% con punte intorno al 20% per le attività di consulenza e assistenza legali, come si evince dal bollettino dell’Istat relativo al secondo trimestre 2020. E la Cassa Forense ha stimato, per il 2020, una diminuzione di reddito della categoria pari a circa il 20% rispetto all’anno precedente. L’Ocf, organismo politico nazionale dell’avvocatura, già nel mese di aprile 2020 aveva redatto un documento di sintesi per le proposte di primo intervento a sostegno degli avvocati italiani indicando una serie di misure necessarie nel breve e medio periodo e finalizzate a sostenere la professione. Poste queste premesse, l’Ocf ha rappresentato l’esigenza di estendere talune misure di sostegno anche alle professioni in quanto tali, mediante l’individuazione delle fasce meritevoli di aiuto con un criterio più adeguato di quello sinora utilizzato. Signor ministro, si rende conto che negare i diritti degli avvocati significa anche negare le tutele dei cittadini?
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