La crisi della giustizia sta coincidendo, anche a causa della pandemia, con la crisi dell’avvocatura: a Napoli aumentano le cancellazioni dall’albo degli avvocati e i più penalizzati sono i praticanti e i giovanissimi procuratori, un’intera generazione che rischia l’estinzione professionale. Cosa fare? «Bisogna iniziare a pensare che il futuro non è più la collaborazione all’interno degli studi legali e cambiare l’approccio alla professione. Sono un po’ critico verso chi si è avvicinato a questa professione pensando che potesse essere soltanto una professione di udienzisti e di colleghi che si occupano di adempimenti», commenta Camillo Bruno, giovane avvocato, presidente del Movimento autonomo avvocati telematici e della Libera Unione Forense.

La soluzione che propone per uscire dalla crisi è quella di investire sulla formazione. «Non è più pensabile che i giovani approccino alla professione pensando di potersi spostare da un campo all’altro del diritto, dal momento che oggi ogni branca del diritto ha una sua precisa connotazione e a causa della proliferazione legislativa diventa minuziosa e difficile da studiare». La parola chiave è specializzazione: «Non si può pensare più di essere avvocati a 360 gradi perché lo scibile giuridico è troppo complesso e articolato», dice Bruno. Meno avvocati, però, vuol dire anche meno tutela dei diritti: «L’avvocato rimane l’ultimo baluardo di tutela della Costituzione e dei diritti di tutti. Anche di chi è in carcere, perché non bisogna dimenticare che il carcerato rimane un cittadino, che ha sbagliato, ma non per questo deve essere sottoposto a una pena inumana, anche nel caso più grave, altrimenti verrebbe meno la differenza tra uno Stato di diritto e uno Stato autoritario». E poi ci sono le inefficienze del sistema giustizia di cui anche l’avvocatura si trova a pagare il prezzo. «E lo paga due volte – precisa Bruno – una per il cliente che non riesce a vedere la sua causa matura per la decisione e una per se stesso perché, non riuscendo a portare a compimento la sua attività professionale, non ha la possibilità di incassare l’onorario».

Alla base ci sono i nodi della giustizia. «In Italia il problema della giustizia è incancrenito. Io – afferma l’avvocato Bruno – vedo un disegno per scardinare la giustizia italiana. Da oltre un decennio non si vede l’ombra di un investimento serio in infrastrutture. Sono bastate quattro gocce d’acqua per far allagare i pianterreni delle torri del tribunale al Centro direzionale. Temo che lo Stato stia abdicando alla sua funzione pubblica di giurisdire a favore di strumenti di carattere privato. Ci ha fatto capire molto chiaramente che il futuro sarà quello delle mediazioni, degli organismi di composizione della crisi. Sta spostando la funzione pubblica da una gestione pubblica a una gestione che dovrà essere demandata al privato, e nello specifico si spera venga concentrata a favore dei Consigli dell’Ordine e non a strutture gestite con capitali addirittura privati».

Serve una riforma per potenziare gli organici del personale amministrativo e rivisitare le piante organiche della magistratura per evitare che ci siano sezioni, come a Napoli quella del lavoro, con un numero elevato di magistrati e altre sezioni con giudici che trattano a ruolo anche fino a 60 o 70 cause al giorno. «Nel breve termine – conclude Bruno – andrebbero invece fortemente potenziati gli strumenti di processo telematico in tutte le aree, anche per le cause che pendono davanti alle giurisdizioni minori, quindi ai giudici di pace, che rappresentano la maggior parte del contenzioso, soprattutto nel settore civile».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).