La saldatura dell’asse Assad-Russia-Iran col supporto di una Cina amica, un po’ sorniona, anch’essa interessata a sostituire gli Stati Uniti in Medio Oriente, provoca una sindrome di accerchiamento nel mondo sunnita che – anche se sostiene Gaza e condanna fortemente l’intervento militare israeliano nella Striscia – non vuole l’influenza di un paese sciita come l’Iran nella regione. Per questo l’aperto conflitto tra Israele e Iran costringe le potenze del Golfo a scegliere da che parte stare.
Diversi Stati del Golfo, tra cui l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Oman, hanno condiviso con gli Usa informazioni sui piani d’attacco dell’Iran a Israele, fondamentali per il successo della difesa aerea dello Stato ebraico facendo fallire l’operazione di Teheran mirante a provocare morte e distruzione nel territorio israeliano con il lancio di centinaia di droni e di missili balistici e da crociera.

Tuttavia per questi paesi è molto difficile mantenere un attento equilibrio tra l’Iran, loro principale rivale in Medio Oriente, gli Stati Uniti, il più importante partner per la sicurezza, e Israele, potenza militare a cui i due stati del Golfo si erano avvicinati grazie agli Accordi di Abramo del 2020. Quegli accordi prevedevano la normalizzazione delle relazioni tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, i primi due Paesi del Golfo Persico ad abbracciare uno spirito di riconciliazione tra Stati arabi e Stato ebraico. Anche l’Arabia Saudita sembrava voler incamminarsi su questa stessa strada. Seppur con mille prudenze, Riyad insegue, infatti, il vecchio sogno di diversificare la sua economia basata sul petrolio, di sviluppare un programma di nucleare civile e di assicurarsi lo status di “Major non-Nato ally” (Maggiore alleato non Nato), lo stesso di cui godono Israele, Egitto, Giordania, Qatar, Bahrein, Kuwait e Marocco.

L’Arabia Saudita aveva così aperto il proprio spazio aereo ai voli da e verso Israele e quest’ultima dal canto suo riconosceva la sovranità saudita sulla isola di Tiran e Sanafir nel Mar Rosso. Gerusalemme e Riyad condividono la comune preoccupazione per l’espansionismo politico, tecnologico e nucleare dell’Iran e per questo i sauditi chiedono migliori garanzie di difesa da parte Usa perché hanno avvertito che Washington nell’ultimo decennio è concentrata su altri quadranti internazionali. Gli Usa restano convinti che con l’adesione dei sauditi agli Accordi di Abramo si aprirebbe un’autostrada per una completa ristrutturazione politica ed economica di tutto il Medio Oriente, ma lo slancio dell’accordo è stato fermato con la guerra a Gaza. Dunque, possiamo dire che i maggiori paesi del mondo arabo moderato hanno preferito il male minore, hanno contribuito alla difesa d’Israele e al fallimento del primo attacco allo stato ebraico da parte di un paese non arabo, l’Iran.

Teheran ha due obiettivi principali: scacciare gli Usa dal Medio Oriente e dotarsi dell’arma nucleare per affermare la sua egemonia nel mondo islamico e oltre. L’ideologia fondante della Repubblica islamica iraniana è basata sulla espansione della rivoluzione islamica e la conquista della comunità sunnita e di tutti i luoghi sacri dell’Islam e dunque anche di Medina e della Mecca. La sovranità sulle città sante è stata sempre strumento geopolitico chiave a cui i sauditi non intendono rinunciare. Un’arma preziosa di proiezione strategica e di propaganda religiosa. È da tempo che la guida suprema iraniana, Ali Khamenei, lancia rabbiosi rimproveri al “blasfemo” rivale regionale saudita, invitando il mondo musulmano a mettere in discussione la sua gestione dei luoghi sacri e la questione del pellegrinaggio annuale. Per questi stessi motivi Teheran è belligerante non ufficiale al fianco degli Houthi nello Yemen che nel 2019 sferrarono un attacco con droni contro alcune infrastrutture petrolifere nevralgiche del Regno.

Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (Uae) vogliono essere rassicurati e riposare comodamente sotto l’ombrello americano perché temono la minaccia atomica dell’Iran. L’erosione dell’ordine americano e della sua influenza in Medio Oriente ha causato un vuoto che rischia di essere completamente occupato da Cina, Russia e Iran. Inoltre, negli ultimi anni, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti avevano perseguito la distensione con l’Iran dopo un periodo di rottura delle loro relazioni. Un accordo mediato dalla Cina un anno fa ristabilì i rapporti tra Riyad e Teheran e, dall’inizio del conflitto, il regno ha tentato di dissuadere l’Iran e i suoi alleati dal trasformare la guerra di Gaza in un conflitto più ampio, offrendo cooperazione e investimenti nell’economia iraniana. Il principe bin Salman vuol dare centralità al Golfo e rendere l’area sempre più influente sulla scena mondiale e in grado di attrarre capitali per diversificare un’economia ancora incentrata sugli idrocarburi. Tuttavia, per raggiungere l’ambizioso obiettivo della Saudi Vision 2030 ha bisogno di un Medio Oriente sicuro e stabile e per questo è spinto a giocare un ruolo più autonomo svincolato da rigide alleanze e a intrecciare rapporti con Cina e Russia, ma nello stesso tempo sa che la partnership con gli Usa è preziosa e per garantirla deve rendersi disponibile e correre in soccorso nel momento del bisogno.

Riyad ha cercato affannosamente di calmare le acque. Nelle ultime settimane, funzionari sauditi ed emiratini hanno incontrato esponenti del gruppo Hezbollah nel tentativo di allentare il conflitto con Israele. Il principe ereditario Mohammed bin Salman non vuole che la guerra danneggi i suoi ambiziosi piani per trasformare l’economia del regno, perché i paesi del Golfo sarebbero i più colpiti da una espansione del conflitto. Dunque, la risposta all’attacco del 13 aprile, che Israele è riuscito a neutralizzare grazie anche alla cooperazione delle forze armate statunitensi, europee e arabe, ha dimostrato il valore potenziale di una intesa con Washington. E ciò è un dato molto importante che emerge da questa partnership strategica dopo le delusioni per le inadeguate risposte degli Usa agli attacchi subiti da Teheran. Ora gli Stati del Golfo sembrano più propensi a restare al fianco degli Stati Uniti per non finire nel mirino dell’Iran.