Nella notte dei droni e dei missili lanciati dall’Iran o su Israele passando (alcuni) anche sulla Giordania, il re Abd Allah di questo Paese ha chiamato l’Eliseo e si è fatto passare Emmanuel Macron: “Signor presidente – gli ha detto – noi stiamo facendo il possibile abbattendo missili e droni che passano sule nostre teste, ma forse qualche missile francese sarebbe utile”. Macron gli ha risposto di stare tranquillo: le batterie antiaeree francesi erano pronte a intervenire se fosse stato indispensabile e che tutto il sistema di protezioni del Medio Oriente funzionava a meraviglia anche grazie all’intelligenza artificiale. Anche ad Amman re e governo erano preoccupati ma non nel panico. Era stato raggiunto un pericoloso compromesso: gli iraniani non volevano perdere la faccia dopo il raid israeliano a Damasco che aveva eliminato tutti i comandanti degli Hezbollah libanesi. Avevano fornito tutti i dati perché i suoi droni e missili fossero abbattuti, purché la rischiosa sceneggiata aerea andasse in onda con tutti i rischi legati al minimo errore.

Per questo la Giordania sparava sui droni iraniani come al tiro a piattello, in modo che non un solo proiettile iraniano varcasse la cupola antiaerea di Israele. Il rischio era alto perché se avesse colpito anche un solo villaggio o una base militare, la guerra sarebbe stata inevitabile. L’Iran ha giocato la sua scommessa con la precauzione di avvertire tutti, affinché nessuno si facesse davvero male. E nessuno si è fatto male, salvo una bambina di sette anni che se la caverà. Chi ha reso possibile che non un solo missile e drone fosse intercettato? Proprio la Giordania. Non si sa quanti ne abbia abbattuti, ma l’ordine del re Abd Allah era chiaro: l’Iran non deve vincere, Israele non deve perdere.
Questo re della famiglia hashemita discende da Awa Abu Tavy che combatté contro i turchi al fianco di Thomas Edward Lawrence, il famoso “Lawrence d’Arabia” noto come un divo per il famoso film (7 Oscar) del 1962 dallo stesso nome e intrepretato da Peter O’ Toole. Awa con Laurence conquistò lo strategico golfo di Aqaba e premio ottenne un regno dalla landa desolata al di là del Giordano, una volta Giudea e Samaria che l’imperatore Adriano nel 135, dopo l’ultima e insurrezione ebraica, ordinò di rinominare Philistea, poi Palestina. Anche gli ebrei che avevano combattuto la Grande Guerra in uniforme britannica ottennero in parte ciò che era stato promesso dagli inglesi con la dichiarazione di Balfour: l’anelato “foyer ebraico” che scatenò subito il furore del Gran Muftì di Gerusalemme, che negli anni Trenta faceva la spola con Berlino per chiedere a Hitler di mandare le sue SS a ripulire la Palestina dagli ebrei.

La Giordania è dunque un regno disegnato con la matita popolata per il settanta per cento da arabi palestinesi identici a quelli che vivono come cittadini israeliani, o nel West Bank o a Gaza ma né questo re, né il suo predecessore e nemmeno il popolo al di là del Giordano ha mai voluto accogliere profughi palestinesi. E quando se ne formò una folta colonia dopo la guerra del 1967, la Giordania sbarrò loro l’ingresso finché nel settembre del 1970 (il famoso “Settembre Nero”) la repressione giordana contro i profughi palestinesi diventò massacro, E quella strage provocò la nascita di gruppi terroristici come quello di Abu Nidal, responsabile nel 1972 dell’eccidio dei nuotatori israeliani, tra cui il campione mondiale Mark Spitz durante i giochi olimpici. Un attentato cui gli israeliani risposero con l’uccisione implacabile e metodica di tutti i terroristi, una operazione che durò quasi dieci anni. Fu la prima volta che il Mossad si procurò la fama di scaltrezza e competenza su cui conta Israele anche se il Mossad ha fallito proprio il 7 ottobre scorso. Amman fece pace con Gerusalemme e oggi la Giordania è un Paese prospero con una agricoltura fiorente che usa come fonte energetica la corrente elettrica fornita da Israele attraverso il suo sistema di recupero energetico dei rifiuti.

Anche l’agricoltura giordana prospera grazie alla collaborazione con Israele che dopo la caduta del regime di Saddam Hussein Iraq ha sempre guardato alla Giordania come il principale elemento di soluzione per il Medio Oriente: trasformarlo in una grande patria palestinese, secondo un’idea condivisa con gli americani enunciata da Condoleezza Rice, ex segretaria di Stato del repubblicano George W. Bush.
Si può dunque dire che uno dei motivi più concreti e attuali per cui la Giordania ha abbattuto tutti i missili iraniani diretti su Israele che poteva, sta nella dottrina degli ayatollah che hanno di fatto dichiarato guerra a questo Paese e creare uno stato di caos affinché il Regno hashemita diventi il nuovo rifugio per le fazioni filoiraniane e un “fronte” aggiuntivo allo schieramento sciita e sgravare gli Hezbollah in Libano e gli Houthi nello Yemen.
La Giordania ospita oggi un milione di siriani e circa sei milioni di palestinesi. Secondo l’intellettuale libanese Ridwan al-Sayyid molto citato dalla stampa, i tentativi di destabilizzare la Giordania hanno avuto un’impennata dal 2020 con le infiltrazioni dalla Siria di trafficanti di droga e armi con scontri a fuoco lungo i 375 chilometri di confine con la Siria di Muqtada al-Sadr per destabilizzare il Regno. Dunque, non c’è nulla di sorprendente se la Giordania si è schierata contro l’Iran
difendendo Israele.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.