Dopo l’attacco iraniano contro Israele, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha ricevuto una chiamata da Joe Biden. L’idea del presidente Usa è che “il 99% dei droni e dei missili intercettato” – come hanno detto le Israel defense forces – doveva essere considerata una vittoria. E che per questo non era necessaria una risposta militare che avrebbe innescato una escalation. Teheran ha già chiarito che per gli ayatollah la partita si chiude dopo l’attacco di sabato notte. Uno show di forza per molti osservatori fallimentare, ma che in realtà, secondo la Cnn, era nato con l’unico scopo di far vedere a Israele di essere pronto a passare dalle parole ai fatti. “I Paesi occidentali dovrebbero tener conto del fatto che le azioni dell’Iran sono legittime e apprezzare la moderazione dimostrata per la pace e la sicurezza nella regione”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri, Naser Kanani, Ma dal governo iraniano, i messaggi arrivati a Usa e Israele tramite intermediari sono stati anche di altro tenore. E secondo le fonti di Al Jazeera riguardava la dura risposta dell’Iran “a qualsiasi nuova avventura israeliana”.

L’escalation è dietro l’angolo

E su questo fronte si sono mossi sia Biden che i leader europei, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron e la stessa premier Giorgia Meloni. La richiesta di disinnescare il conflitto è arrivata da tutto il mondo. E a temere una crisi regionale sono anche Cina e Russia, che vedono con preoccupazione a un possibile incendio mediorientale. Netanyahu ha davanti a sé un complicato dilemma politico. Ieri il premier ha convocato ancora una volta il gabinetto di guerra per studiare le mosse con cui rispondere all’Iran. Le fonti dei media israeliani hanno detto che nella riunione di ieri il gabinetto di guerra avrebbe deciso di colpire “con forza” l’Iran per inviare il segnale che “un attacco di tale portata passi senza una reazione”. Ma nemmeno Israele vuole un conflitto regionale. Mentre fonti USA davano l’attacco come “imminente”. E il capo di Stato maggiore israeliano Herzi Halevi, dalla base aerea di Nevatim, ha assicurato “una risposta” da parte dello Stato ebraico. Le posizioni sono anche nettamente divergenti. Qualcuno voleva una risposta immediata all’attacco già sabato. Altri, come lo stesso primo ministro, hanno invece spinto per l’attesa, anche per capire come infliggere più danni a Teheran pure a livello strategico. In questo senso, quella “alleanza” che si è palesata durante l’attacco iraniano, quando i Paesi arabi si sono coordinati con Usa, Grancia e Gran Bretagna per intercettare gli ordigni dirette su Israele, potrebbe essere considerata una vera rivalsa strategica. Netanyahu sa che quel raid ha ridotto l’isolamento internazionale che aveva caratterizzato gli ultimi mesi del suo esecutivo a causa della guerra a Gaza. Ma la risposta a Teheran può mescolare di nuovo tutto.

Il nuovo governo

Benny Gantz, leader dell’opposizione centrista ma membro del governo di emergenza, aveva detto che Israele avrebbe richiesto “un prezzo dall’Iran nei tempi e nei modi adatti”. I due ministri dell’estrema destra, quello delle Finanze, Bezalel Smotrich, e quello della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, hanno invece preteso da subito una risposta durissima. La tensione nella maggioranza è alta. E come dimostrato per la guerra contro Hamas, la posizioni tra la destra radicale e gli apparati di sicurezza appaiono diverse, specialmente perché all’interno del governo di emergenza c’è anche chi potrebbe prendere le redini dell’esecutivo dopo Netanyahu. Ieri il leader dell’opposizione Yair Lapid si è rivolto proprio a Gantz per chiedere di far cadere l’esecutivo. “Formeremo un nuovo governo e questo governo avrà molta più influenza, Benny Gantz potrebbe essere primo ministro e non c’è cittadino che non sarebbe contento di avere Gadi Eisenkot come ministro della Difesa”, ha aggiunto. E conferma che la crisi con l’Iran non ha messo da parte i problemi interni che vive il premier. Netanyahu deve capire come bilanciare le pressioni della maggioranza con quelle degli Stati Uniti.

La risposta di Teheran

Secondo l’emittente Channel 12, nel corso della riunione di ieri, il gabinetto di sicurezza ha vagliato tutte le ipotesi di ritorsioni “dolorose” contro l’Iran che non abbiano come risultato quello di scatenare una guerra regionale. In sostanza una reazione che non comporti uno strappo con Washington. Biden ha chiamato diversi alleati regionali, a cominciare da re Abdallah di Giordania (con cui ha discusso anche di aiuti nella Striscia di Gaza). E ieri sera ha incontrato alla Casa Bianca il premier iracheno Mohamed Shia al-Sudani. Il segretario di Stato Antony Blinken ha avuto colloqui con i ministri degli Esteri di Germania, Regno Unito, Arabia Saudita, Giordania, Egitto e Turchia, e a tutti ha spiegato che Washington avrebbe sempre difeso Israele ma non si sarebbe unita a un attacco. Ma la tensione ai confini dello Stato ebraico potrebbe innalzarsi da un momento all’altro. A Gaza, la guerra contro Hamas continua, anche se alcuni fonti ritengono che l’operazione di terra su Rafah sia stata posticipata. Mentre in Libano proseguono i raid israeliani contro Hezbollah e gli attacchi della milizia sciita contro lo Stato ebraico (ieri un ordigno ha ferito quattro soldati delle Idf). In Cisgiordania non si placa la rabbia tra coloni e palestinesi. E le forze Usa hanno intercettato diversi missili e droni lanciati dagli Houthi in Yemen. E il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, parlando con l’omologo britannico David Cameron ha usato parole chiare: se Israele colpirà, la risposta di Teheran sarà “immediata, più forte e più ampia”.