Aspettarsi il peggio dal conflitto israeliano. Mettere in campo il massimo sforzo diplomatico. Proiettare la Nato lungo un nuovo “sud” del mondo che inizia sopra l’Artico e finisce sotto il mare d’Arabia. Trentadue delegazioni Nato – e non solo – sono a Roma per una riunione celebrativa capitata però nel pieno di una crisi internazionale che ha trasformato la due giorni (organizzata dal Sioi) in un crocevia di contatti, bilaterali e faccia e faccia anche con molte delegazioni di paesi arabi. Il padrone di casa qui alla Caserma Salvo D’Acquisto è l’ambasciatore Riccardo Sessa che guida il Sioi (Società italiana per l’organizzazione internazionale).

Israele alla fine deciderà di rispondere all’attacco di Teheran?
«Ho sempre sperato che Iran riuscisse a violentarsi e a non cedere ad una retalation (ritorsione). Ha prevalso invece la logica dominante del Medioriente: occhio per occhio. Ci stiamo tutti preparando ad una ulteriore reazione di Israele. È un meccanismo perverso che occorre fermare».

Il premier israeliano potrebbe ragionare in termini di convenienza. Cui prodest una nuova ritorsione?
«Israele, nel momento in cui sente e avverte la propria sicurezza minacciata dall’Iran, attacca direttamente senza neppure avvisare Washington. Loro vivono da sempre nell’incubo della loro sicurezza».

Israele però rischia l’isolamento internazionale dopo averlo appena “riconquistato” in parte dopo l’attacco di sabato. L’opinione pubblica è consapevole di questo.
«In quei paesi le opinioni pubbliche sono molto variabili, conta soprattutto il contesto. Ero a Belgrado sotto le bombe della Nato e le garantisco che, a causa di quelle bombe, i cittadini erano tutti con Milosevic, il tiranno che applicò la pulizia alle categorie della politica».

Quale può essere lo “sparo di Sarajevo”?
«Basta un incidente qualsiasi. Basta nulla. Può succedere quando meno te lo aspetti. Non ci voglio neppure pensare».

Teheran poteva astenersi dal lancio di droni?
«La reazione di sabato è stata il minimo sindacale. Era annunciata e telefonata. Eravamo tutti pronti, a cominciare da Israele. Teheran poteva usare missili molto più veloci e potenti invece che droni lenti e intercettabili. È stata una scelta. Dimostra che l’Iran non ha interesse a scatenare un conflitto mondiale».

E allora perché Netanyahu insiste?
«Perché si gioca tutta la sua sopravvivenza politica».

Come se ne esce?
«Massima solidarietà al popolo di Israele ma è chiaro che vanno messi in campo adesso tutti i mezzi più raffinati della diplomazia. Da parte non solo degli Usa ma anche di stati europei che hanno rapporti accettabili, scorrevoli con Iran. Vanno coinvolti attori regionali come Giordania e Arabia Saudita. Ma anche Russia e Turchia».

Italia ed Europa sembrano più osservatori che protagonisti.
«L’Italia, che ha la presidenza di turno del G7, si sta muovendo bene. E l’Italia può avere le carte in regola per avere un ruolo importante in questa fase».

State per chiudere questa due giorni. Quale mandato esce dalle celebrazioni per i 75 anni della Nato?
«Si conferma la validità strategica di un’alleanza politica che si basa su una grossa organizzazione militare. La lungimiranza di De Gasperi e Sforza 75 anni fa è stata fondamentale per la collocazione internazionale dell’Italia da cui sono arrivati benessere e democrazia. Oggi la Nato necessita di aggiornare la propria concezione strategica ma resta fondamentale. Abbiamo molto apprezzato l’intervento del Presidente Mattarella proprio perché ha voluto indicare anche il futuro dell’Alleanza».

Perché ancora oggi tanto odio contro la Nato? Da destra e da sinistra?
«Ci sono ancora troppi malintesi e luoghi comuni. Sarebbe compito della politica e dei partiti superarli e saper guardare lontano».

Il Capo dello Stato ha invitato a presidiare anche il Fronte sud della Nato.
«Il mondo è talmente e totalmente cambiato. Il Mediterraneo di una volta, che l’Italia volle allargare al Mar Nero e che costituiva il confine tra nord e sud, oggi parte dal mare Artico, scende lungo i Balcani e arriva ancora più giù del Golfo. È questa la linea del nuovo sud. Questo è il fronte. La sicurezza nel Mediterraneo è condizione essenziale per la sicurezza dell’Europa. La quale è fondamentale per la sicurezza transatlantica. L’Italia si deve riappropriare del ruolo di sentinella e padrona di casa del Mediterraneo».

Condivide il pressing di alcuni paesi e leader per una Difesa comune europea e quindi anche una politica estera comune?
«Certo che sì, una vera Europa deve avere politica economica estera e di difesa comune. La condizione è che i singoli stati lo vogliano. Significa cedere sovranità. Questo è compito dei governi che devono decidere. Se ne parla da sempre. Il momento è adesso»

A quel punto però sarebbe un doppione della Nato.
«No, dobbiamo trovare il modo per cui la complementarietà della difesa europea rispetto a quella della Nato possa essere costruita con la necessaria fantasia e realismo».

E questa è una risposta veramente diplomatica. Ambasciatore Sessa, nella sua lunga carriera ha lavorato molto a Roma con il ministro Andreotti (Difesa) e il governo Craxi. È stato responsabile dei rapporti con il Parlamento per conto della Farnesina…
«Allora quando arrivavo in Parlamento il capogruppo del Pci mi incontrava e mi chiedeva la linea del ministro. In politica estera c’era una linea comune».

Poi è stato a palazzo Chigi, consigliere diplomatico con tre diversi ministri della difesa, da Previti ad Andreatta, era a Teheran l’11 settembre, quando iniziò la nostra missione in Afghanistan. Insomma ne ha viste e vissute tante. Elogia anche lei il sistema del doppio binario in politica estera?
«Guardi che è la nostra specificità, sviluppata anche per le condizioni geografiche in cui si trova l’Italia. Questo vuole dire che bisogna riprendere a parlare con tutti e con chi parla in modo diverso. Si chiama pragmatismo diplomatico Laddove la prima regola della diplomazia è onesta e sincerità. In politica estera siamo sempre stati atlantisti ed europeisti. Mai abbandonato questa linea. Nel 1979 Camera e Senato approvarono all’unanimità una risoluzione con identico testo. Fu l’Italia nel 2005 a riaprire il valico di Rafa, tra Gaza e Egitto. Fu l’Italia nel 2006 a rinnovare il presidio Onu in Libano».

Cosa emerge da questa due giorni sull’Ucraina?
«Quel paese è fondamentale per gli equilibri futuri nel Medioriente. Solidarietà senza se e senza ma. Due condizioni tassative: l’Ucraina non può perdere; occorre trovare le modalità per ristabilire un dialogo con Russia».

Anche con Putin? Chi può fare questo?
«Se necessario anche con Putin. La vera diplomazia vuol dire anche trattare con i peggiori nemici. Servono paesi ma soprattutto persone con molta credibilità».

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.