Lettere sul carcere a Sbarre di Zucchero
“Avete mai visto come muore un uomo in carcere? Io sì, da marzo ad agosto per ben tre volte”
“La vita detenuta è una lunga marcia attraverso la notte, e si avanza verso un vuoto senza nessuno sbocco. Non si vive, si mantiene in vita solo un corpo che non ti appartiene più perchè è diventato di proprietà del Ministero di Grazia, talvolta dell’Ingiustizia”. Così scrive L., 42 anni, iscritto al Corso di laurea in Scienze politiche, relazioni internazionali, diritti umani grazie al progetto università in carcere. Non ci sta a rassegnarsi all’idea che la vita dopo il carcere sia solo al buio e si impegna costantemente, con tutte le sue forze, a cambiare le cose e il suo futuro. Ha raccontato la sua esperienza in carcere a Sbarre di Zucchero. Sottolinea la sua “osservanza in particolare a: chi mi ha dato l’ opportunità di iniziare un percorso di studi universitari in carcere e di poterlo continuare attualmente, auspicando ad un futuro lavorativo per i diritti e doveri delle persone private della libertà personale, a chi lotta con idee di carta e penna ogni giorno, a tutti gli uomini di potere che possono migliorare le condizioni detentive”. Riportiamo di seguito le sue parole, raffinate e delicate, ma che arrivano dritte al punto come un pugno allo stomaco.
Il carcere, così com’è pensato e amministrato attualmente, è come il mercatino degli uccelli di Bangkok, nel quale i mercanti vendono ai moltissimi turisti gli uccelli catturati e tenuti in gabbia, così che i turisti possano acquistarli per poi liberarli, credendo ingenuamente di liberare il loro karma negativo come narra la mitologia orientale. Peccato che i turisti non sappiano che i mercanti abbiano addestrato gli uccelli a far ritorno nelle loro gabbie. Con licenza poetica ecco che i carceri/mercati sono le gabbie di uccelli/detenuti, e i detenuti/uccelli vengono addestrati a far ritorno nelle loro gabbie/celle.
Questa è l’amara realtà, e finché il carcere non cambierà prospettiva, il reinserimento e il recupero del reo resteranno sempre un fallimento dello Stato Italiano. Il reo, la cui condanna diventa definitiva dopo il terzo grado di giudizio, dovrebbe subire solo la privazione della libertà ed iniziare il percorso di recupero previsto dalla Costituzione, ma le attuali violazioni della dignità e i trattamenti inumani hanno portato quest’ultimo a commettere gesti di autolesionismo nell’ordine delle migliaia, e decine di suicidi di cui tanto si parla ma per i quali a pochi importa. Tanto era solo un delinquente!
Domando a voi: avete mai visto come muore un uomo in carcere? Io sì, da marzo ad agosto per ben tre volte. Chiudono immediatamente tutta la sezione, si attendono le autorità di turno e d’improvviso vedi la forma di un corpo in una barella, chiuso in due grandi sacchi neri, giunti a metà da nastro per pacchi portato via frettolosamente. Poi tutta quell’aria ristagnante torna normale, come se non fosse accaduto nulla. Questo come può essere classificato? Un problema politico? Lo stesso Parlamento non ha mai mostrato reale interesse ad un’esecuzione della pena con modalità legali, nonostante l’attuale voragine in cui versano gli Istituti Penitenziari Italiani sia sotto gli occhi di tutti i perbenisti.
Un problema di opinione pubblica? Nessuno pensa che per il reo che riottiene la propria libertà, inizia una seconda carcerazione costituita da negazioni lavorative e personali. I perbenisti conoscono la realtà del carcere? È un ambiente difficile, se non sei strutturato e forte per sopportarlo la tua mente finisce per esserne distrutta. Il tempo infinito, il dover aspettare per ricevere qualsiasi cosa logora. E poi c’è la solitudine, il senso di abbandono, lo sconforto, il sentirsi continuamente sbagliati, la sensazione di essersi rovinati la propria vita e di non avere più alcun un futuro. Perdi la speranza e se in quel momento sei solo ti lasci andare alla disperazione e commetti atti terribili.
Nonostante io creda fermamente che sia giusto “pagare” per quanto commesso, penso che sia altrettanto giusto e fondamentale, avere la possibilità di ricostruire una vita dietro le quinte, lontana dai giudizi.
Ribadisco che, quando un detenuto ritorna in libertà ancora vivo ma senza soldi, casa, famiglia, con il nulla con cui è entrato, torna inevitabilmente a delinquere e scatta quella terribile cosa che è la recidiva. C’è bisogno di una maggior collaborazione con la società esterna, il detenuto non è sempre e solo una persona da cui stare alla larga, non è un mostro né per forza un delinquente è spacciato. È una persona che ha sbagliato, ha pagato e che molto spesso ha solo tanta voglia di riscatto. La certezza della pena non è solo carcere. E i tempi biblici del paese di santi poeti e navigatori per attuare un piano adeguato per l’edilizia penitenziaria, lasceranno spazio a nuove lesioni commesse per mano dello Stato sul detenuto materiale umano.
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