Il tracollo
Beppe Grillo seppellisce il M5s: o diventa partito o muore

Forse sarà ricordato come il giorno delle ceneri del Movimento, quello che ha riportato Beppe Grillo nella Capitale. Disceso in terra per la seconda volta in pochi giorni, l’Elevato ha camminato in punta di piedi nell’enorme voragine di Roma dove il sogno a Cinque Stelle è precipitato. Non è più il baldanzoso capopolo che un tempo veleggiava nelle piazze portato a spalle sul suo canotto. Beppe lo sa bene. «Il Movimento, un secondo dopo il voto, è già bello che morto». E dunque niente vaffa, niente ceffoni all’imberbe Di Maio, niente più purghe con un post scriptum o anatemi contro i “voltagabbana”. Oggi è il tempo della traversata nel deserto, e Beppe ha deciso di farsi Padre provinciale. «Troncare, sopire».
È l’appello del Conte zio, dal quale dipendono le sorti del Movimento, quello che sembra salmodiare il Garante ad ogni passo. Finché c’è premier, c’è Movimento. E dunque troncare. I portavoce che dovevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno? Macché, «ce li ritroviamo sotto casa a chiederci un lavoro», dice Beppe. E il limite del doppio mandato, ultimo comandamento delle tavole della legge grillina finite infrante? Ma sì, se ne può parlare. Basta con questa retorica anticasta. La pubblica lapidazione dei traditori passati nella metacampo leghista? «Io non riesco a convincere nessuno, se una persona cambia idea lo può fare», discetta sereno Beppe, con la stessa indolente pacatezza di un Mahatma. Parole che affondano come pugnali nei cuori neri di Di Maio e Di Battista, ancora innamorati della cara vecchia forca contro i traditori. Il tempo delle odi a Trump e Farage è finito. E forse, se Beppe potesse, riavvolgerebbe indietro il nastro dello streaming che lo vide urlare addosso a Pierluigi Bersani, cinque anni fa. «Voi e il Pd avete l’occasione storica di fare bene con questo governo. Sappiate che non vi ricapiterà», è il nuovo salmo che intona Beppe.
Basta con questa storia del vecchio Pd, basta con le cianfrusaglie di una propaganda politica che ora è consegnata a quel museo di cose di pessimo gusto che Luigi Di Maio custodisce con la stessa bramosia di Nonna Speranza. E la precrizione? Beppe ci scherza su. «A me serve, me la tengo». Fattosi padre provinciale, Beppe indica la strada. Prende sulle braccia l’infante Luigi. Gli dice bravo, gli dice che può sbagliare, così giovane com’è. Ma mentre ancora scalcia, smanioso di riabbracciare gli amici sovranisti, Beppe conduce il baby leader a forza sulla strada che ha in mente. Un detour progressista, l’unico possibile. Con un occhio alle Sardine, sola igiene del mondo sovranista. L’unico che può salvare il Movimento dai diavoli neri che l’hanno lasciato in terra esangue. Beppe l’ha capito. Se non c’è più il Movimento, può esserci un partito. Hic Rhodus, hic salta.
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