Energia
Blackout Spagna, serve ancora far luce. Cosa abbiamo imparato dalla fragilità delle rete elettrica

Il blackout che ha colpito Spagna, Portogallo e parte della Francia ha mostrato la fragilità dell’infrastruttura elettrica europea: in pochi minuti, intere aree sono rimaste senza elettricità e servizi essenziali. Non si è trattato di un attacco, ma di un guasto tecnico – pare – su cui non è stata ancora fatta pienamente luce. Sebbene l’interruzione sia durata poche ore, gli effetti sono stati prolungati e transnazionali, coinvolgendo anche il Marocco. Un evento locale ha avuto ripercussioni più ampie, dimostrando che l’interconnessione energetica europea è al tempo stesso un punto di forza e un fattore di fragilità.
La riflessione
L’interdipendenza tra reti nazionali è necessaria per bilanciare domanda e offerta, specie ora che le fonti rinnovabili – per loro natura intermittenti – stanno sostituendo i combustibili fossili. Tuttavia, quando un’anomalia si verifica in un nodo, l’intero sistema può collassare a catena, come questo blackout ha dimostrato. La retorica dell’“autonomia strategica” europea deve quindi tradursi anche in una riflessione su come diversificare, decentralizzare e rendere ridondanti le infrastrutture.
Il piano
Dal punto di vista geopolitico, l’evento ha messo in luce due fragilità: la difficoltà di integrare fonti rinnovabili intermittenti nelle reti esistenti e la dipendenza da connessioni transfrontaliere prive di salvaguardie efficaci. Non è un caso che anche il Marocco – collegato alla Spagna da un cavo sottomarino – abbia subìto le conseguenze del blackout europeo: un esempio chiaro di come l’energia sia oggi anche uno strumento di vulnerabilità nelle relazioni internazionali. Questa dipendenza infrastrutturale apre spazi di manovra per attori ostili. Se un’anomalia tecnica può spegnere un Paese, è facile immaginare l’impatto di un attacco ibrido ben orchestrato. La difesa della rete elettrica europea diventa dunque una questione di sicurezza nazionale e continentale. Le risposte non possono essere solo tecniche. Servono più investimenti per stabilizzare le reti e integrare rinnovabili e sistemi di stoccaggio. Ma occorre anche un ripensamento strategico del modello energetico. La transizione verde, se non accompagnata da una transizione infrastrutturale, rischia di rendere le economie più vulnerabili, non più sicure. Bisogna puntare sulla decentralizzazione, con microgrid locali e comunità energetiche in grado di resistere anche al collasso della rete centrale. Serve diversificare non solo le fonti, ma anche i modelli di governance. E accettare un concetto spesso rifiutato dal pensiero neoliberale: la ridondanza come valore. Sistemi duplicati, back-up energetici, soluzioni analogiche di emergenza possono sembrare inefficienti, ma sono fondamentali per garantire continuità in un mondo instabile.
Cosa ci ha insegnato il blackout
Il blackout spagnolo ci insegna che non possiamo più pensare all’efficienza senza pensare alla resilienza. Dobbiamo costruire società ridondanti, capaci di rispondere a shock complessi con flessibilità e adattamento. Solo così l’Europa potrà affrontare le sfide di un mondo sempre più interconnesso e instabile.
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