La coalizione di centrosinistra non ha ancora iniziato la campagna ed è già in crisi di nervi. Carlo Calenda blinda il suo contratto con il Pd, ma Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, che lo definivano “irricevibile”, avevano strepitato e minacciato di andarsene. Alla fine, Verdi e Sinistra Italiana hanno gettato la maschera: saranno alleati della coalizione ma chiedono a Letta di alzare la posta. Avere più posti nei collegi probabili, nei “quasi sicuri”. Ieri sera si sono detti soddisfatti al termine dell’incontro con Letta e hanno preso 48 ore per tirare le somme.

YouTrend ha calcolato che, sulla base dell’apporto probabilistico di Azione al Pd, il rapporto corretto sarebbe stato 82/18, mentre Letta ha firmato la sua resa sul 70/30. La proposta che è stata fatta a Matteo Renzi risulta, alla luce di questo dato, ancor più indisponente. Stando alla proposta di Letta, quattro di Italia Viva, due uomini (Renzi e Rosato) e due donne (Boschi e Bellanova) sarebbero dovuti entrare nelle liste del Pd. Non è chiaro se con le mani alzate o meno, ma di resa incondizionata si sarebbe trattato, nei rapporti di forza a seguire. Troppi appetiti intorno al tavolo del Nazareno, che può servire solo una mezza porzione. Nella stanza del capo della segreteria di Letta, Marco Meloni, il “recinto delle grida” diventa un girone dei dannati. Una trincea dove si combatte la battaglia delle liste. Arrivano telefonate, messaggi, biglietti su carta intestata ministeriale e pizzini, che gli uffici dei parlamentari fanno recapitare a mano dagli amici. Il Palazzo che più conta, nella composizione delle liste, è preso d’assalto da uscenti ed esordienti. Le federazioni e i comitati regionali hanno mandato ieri i loro nominativi.

Dalla Toscana non viene fatto il nome di Luca Lotti, pericolosamente renziano. Da Paolo Gentiloni sarebbero arrivate due sole nomination: Antonio Funiciello, capo di gabinetto di Draghi, e Filippo Sensi. La Campania avrebbe preso in carico – spontaneamente, certo – Dario Franceschini. Il segretario del partito Letta, che come è noto è di Pisa e ha corso a Siena pur vivendo, dopo la parentesi di Parigi, a Roma, correrà a Milano. I big prenotano i collegi sicuri mentre affidano agli altri le sfide aperte. Solo ipotesi, in ogni caso, perché il puzzle degli incastri è difficile da ricomporre. La Direzione Pd è fissata per mercoledì prossimo. A quella data le bocce si dovranno fermare. Ma già dalle ramificazioni dem sul territorio traspare insofferenza di fronte alla possibilità di dover cedere posti a Azione, SI-Verdi e Di Maio-Tabacci.

Enrico Letta, che continua a tenere contatti con tutti, ha messo in pausa per un attimo i fondatori della lista aperta: gli incontri con Demos, Psi e Articolo 1 di questa settimana si terranno nei prossimi giorni. Nel faticoso lavoro di composizione dell’alleanza elettorale tutto si tiene. E dopo la chiusura dell’intesa con Carlo Calenda gli alleati (anche potenziali) del Pd restano tutti alla finestra rivolgendo al Nazareno la medesima domanda: “Quanto spazio avremo?”. Non è ancora nota la destinazione dell’ex segretaria Cisl Annamaria Furlan. Agitazione anche per l’ipotesi di una candidatura toscana di Susanna Camusso. Da Livorno il Pd cittadino chiede a gran voce la riconferma di Andrea Romano, mentre da giorni a Bologna i dem sono alle prese con una insofferenza strisciante per la voce che vuole Matteo Richetti candidato in quel collegio, nell’ambito dell’intesa con Azione. Il partito cittadino ha indicato i suoi ‘alfieri’ (De Maria, Merola, Zampa e Manca) e faticherebbe ad accettare il sacrificio di uno di loro. In campo ci saranno anche Elly Schlein e Valentina Cuppi e si continua a parlare della possibile candidatura di Filippo Andreatta. Per rimanere in Emilia Romagna, a Parma si dovrebbe fare posto all’ex sindaco Federico Pizzarotti e a Ravenna potrebbe candidarsi l’ex governatore Vasco Errani, ma in quota per i fondatori di Articolo1.

Anche a Torino le possibili ricadute dell’accordo con Calenda tolgono il sonno al Pd locale. In città, però, a creare malumori sarebbe la candidatura della viceministra Laura Castelli per Di Maio-Tabacci, ipotesi che scatenato le proteste del partito torinese. Dal Movimento, dove si è aperta la fase di accettazione delle candidature per le Parlamentarie, Conte ha chiuso le porte a De Magistris e all’Unione Popolare. E ha fiutato il bluff di Fratoianni: “Non ci usi come leva per le trattative con il Pd”. Niente Cosa Rossa, almeno per ora. “Incontrerò Michele Santoro”, si limita a promettere Conte. Una declinazione al futuro che mal si concilia con la chiusura delle liste. Tanto che Virginia Raggi apostrofa l’avvocato: “Dovremmo finalmente riaprire un dibattito interno, coinvolgere gli attivisti e non pianificare tutto a tavolino nelle stanze del palazzo. Le liste si fanno alla luce del sole e devono essere aperte a tutti. Il Movimento non può diventare un tram per portare in Parlamento gli amici degli amici”.

Avatar photo

Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.