In passato la Corte Costituzionale era criticata per i suoi silenzi, per il suo essere distante e come chiusa in una torre d’avorio. Oggi talvolta lo è stata per il suo prendere la parola. Viene in mente Alessandro Manzoni, il quale nella sua introduzione ai Promessi Sposi scriveva: “Spesso anche, mettendo due critiche alle mani tra loro, le facevam battere l’una dall’altra; o, esaminandole ben a fondo, riscontrandole attentamente, riuscivamo a scoprire e a mostrare che, così opposte in apparenza, eran però d’uno stesso genere, nascevan tutt’e due dal non badare ai fatti”. In realtà, al di là di ogni giudizio di merito sulle scelte della Consulta, non vi è dubbio che il presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, abbia fatto bene a convocare una conferenza stampa per spiegare le decisioni relative alla ammissibilità dei referendum.

Il confronto coi giornalisti non era solo utile, ma in certa misura necessario. In particolare in un caso come questo, della ammissibilità dei referendum, nel quale è in questione la possibilità per i cittadini di decidere di temi spesso per loro rilevanti, non basta certo un secco comunicato. E, per altro verso, la lettura delle sentenze della Consulta non è un esercizio agevole per tutti. Di conseguenza, spiegare e render conto in pubblico delle decisioni prese diventa quasi un obbligo. Amato si è fermato naturalmente soprattutto sui referendum che la Corte ha considerato inammissibili, rifacendosi ovviamente alle norme che regolano la ammissibilità, come la violazione dei trattati internazionali o errori che la Corte ha ritenuto di individuare nella formulazione del quesito, che, come si sa, i giudici costituzionali non possono comunque correggere, sostituendosi al comitato promotore.

I cittadini elettori, il Parlamento con il Governo dinanzi ad esso responsabile e la Corte costituzionale sono i tre organi essenziali di uno stato di diritto. Il dialogo fra di essi è necessario ad un buon funzionamento del sistema. Che la Corte spieghi e dialoghi è un bene per tutti e, tanto per cominciare, per la Corte stessa, che ha l’obbligo di motivare le sue decisioni e in certi casi addirittura di spiegarle rispondendo alle domande che le vengono poste, come accade appunto nel corso di una conferenza stampa. I contropoteri non possono essere intesi come semplici poteri di veto, ma anche e talvolta soprattutto come segmenti di un potere diviso in vista non della paralisi decisionale, ma di un migliore governo della società. Quando la Corte blocca, sulla base delle norme che ne organizzano il funzionamento, il diritto dei cittadini di modificare per via di abrogazione leggi in vigore o parte delle medesime, è in certa misura doveroso che l’organo guardiano della costituzione ne renda ragione, con un linguaggio il più possibile accessibile al cittadino elettore. Così accade già da qualche anno nel caso del Conseil constitutionnel francese che regolarmente pubblica, oltre alle decisioni, un commento delle medesime facilmente accessibile anche a chi non abbia fatto studi di diritto.

Amato ha spiegato anche come il collegio giudicante abbia proceduto per giungere alla decisione. Senza un voto, ma attraverso una discussione che ha prodotto un consenso fra i giudici. La Corte costituzionale italiana non è un micro-parlamentino di quindici membri. È un organo collegiale di esperti del diritto che non sono elettoralmente responsabili dinanzi ai cittadini. E che, nominati per un singolo mandato sulla base delle loro competenze e non di un programma politico di parte, non possono essere rieletti. Dire come si fa talvolta che si tratta di un organo politico è affermazione confusa. Perché non distingue il fatto che le sue decisioni hanno necessariamente un impatto più o meno importante sulla vita della polis (la società) dal senso, invece, in cui si usa l’aggettivo “politico” per fare riferimento alle posizioni di una parte della vita politica, quale è un partito o anche un gruppo di interessi.

La Corte è super partes non perché i suoi membri siano esseri pensanti senza opinioni, ma perché il collegio è composto da persone con parzialità moderate che devono trovare insieme, attraverso lo scambio di argomenti e non la ricerca del consenso popolare (come è giusto che accada per i partiti), risposte alle domande che vengono loro poste alla luce dei principi della costituzione, delle decisioni precedenti e degli orientamenti della società. Non per il bene dei suoi membri ma per quello del viver comune.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

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