In un mondo (editoriale) di incertezza (sulla qualità) e di prevedibili esiti a causa di attitudini mercantili di acquisizione del consenso dei lettori (sempre trattati come fossero più scemi di quanto siamo), una certezza di qualità è imbattersi nel punto di vista mai scontato, mai consolatorio, tormentato in un modo che è tetro, angosciante e sfrontato allo stesso tempo, di Davide Morganti. Col suo ultimo libro Bruciaccristo (‘Round Midnigh Edizioni, 2021, p. 68, euro 10), già dal titolo Morganti ce ne dà conferma e lo esalta nel dolore provato quando non si esita a ripassare le dita su cicatrici mai formatesi del tutto.

Il libro si articola in tre sezioni (a me ha ricordato certe severe composizioni pittoriche pre-rinascimentali o le Passioni di Nostro Signore Gesù Cristo della musica settecentesca: il dolore è quello, rivestito di altro linguaggio). La prima sezione è un poema suddiviso in quattordici parti, ognuna intitolata a una stazione della Via Crucis. Quando ho finito di leggerle, ho immaginato di ascoltarle durante la Via Crucis del Venerdì Santo da Roma, quella presieduta dal Papa e mandata in mondovisione. Nessuna consolazione, qui. Qui i versi costruiti da Morganti mettono sul lettore il peso dell’iniquità, il fardello del dolore insensato, l’angoscia dell’esistenza quale processo che incessantemente porta “fuori da”, dal buio alla luce, dal silenzio ai suoni, dal nulla alla visione, un processo che, incessantemente, sta sulle fronti dei viventi come una condanna. Sicché la resurrezione è una seconda condanna. In questa spaesata, insofferente, esasperata via del Calvario di tutti i Gesù Cristo del mondo e della storia, lo sguardo di Morganti è un bisturi incandescente.

Come lo fu quello di Giuseppe Berto quando ci regalò la sua visione su Giuda nello strepitoso La gloria. Già dai primi versi, avvertiamo il senso tragico di una constatazione: “Dio è una casa vuota da tempo,/ non ci abita più nessuno/ finestre crepate dal freddo/ stanze larghe pozzanghere scure”. Non solo, la grande scommessa cristica – il Dio incarnato, l’azzeramento della distanza tra Dio e gli uomini – è fallita e fallisce: “chissà se il Padre diventò sordo/ per non sentire la sentenza, le urla, i passi/ piegati dalla croce,/ l’aspro abbandono”. Poiché, infatti “Non c’è spazio per i morti/in cielo”. La seconda sezione del libro è intitolata “Apocalisse apocrifa” e la constatazione del fallimento si fa domanda, stavolta: provocazione: “I giorni essiccano nella polvere in mezzo ai binari/ in direzione della morte,/ c’è davvero morte in paradiso?”. Neppure la liberazione finale e apocalittica è più possibile, è impensabile: l’apocalisse che ci tocca è un passaggio inane di un Dio sfinito.

Con terza sezione – riflessione conclusiva intitolata “Comicità della croce” – Morganti propone una rilettura dei Vangeli, alla luce di categorie bergsoniane, che evidenzia i tratti della parodia e del fraintendimento verbale lungo tutto il racconto della passione. Qui soprattutto il lettore proverà forse notevole disagio, e ciò a dimostrazione del fatto che, per fare letteratura, oggi come non mai, il passaggio per le tenebre vuote e fredde della spiritualità è d’obbligo.