Il giovane ed ambizioso presidente golpista del Burkina Faso Ibrahim Traorè ha deciso di nazionalizzare le miniere d’oro del suo paese annullando i numerosi contratti internazionale che l’ex colonia francese aveva stipulato. Parlando alla radio nazionale il capitano d’artiglieria che ha preso il potere con un colpo di stato nel 2022 ha spiegato al popolo burkinabè che questa mossa faceva parte di un piano per la riappropriazione della sovranità del Burkina Faso e che avrebbe portato prosperità a tutti. Rispondendo alle numerose domande degli ascoltatori Traorè ha dichiarato che la gestione del patrimonio minerario del paese verrà assegnato ad aziende nazionali, aggiungendo però che potrebbero esserci anche alcuni partner internazionali, ma diversi dai precedenti.

Miniere nazionalizzate, collaborazione solo con Russia e Cina

L’uomo forte di Ouagadougou ha spiegato che potranno lavorare in Burkina Faso soltanto i paesi che sostengono il nuovo corso politico e che sono al fianco dell’esercito nazionale nella lotta al terrorismo che sta dilagando nelle province settentrionali. Il messaggio è chiaramente rivolto ai paesi occidentali che da decenni hanno forti interessi economici nello stato africano. Le aziende che perderanno i contratti sono infatti statunitensi, inglesi, australiane e canadesi, mentre sembra che non verranno annullati gli accordi con alcune società cinesi. Il Burkina Faso è il quinto produttore di oro dell’intero continente africano ed è la sua principale fonte di reddito e di commercio internazionale.

La nazionalizzazione delle risorse è sempre stato uno dei punti fermi del programma della giunta militare guidata dal capitano Traorè, ma ora appare chiaro che si tratta di pagare l’appoggio politico e militare di Russia e Cina che sono i due mentori del nuovo corso burkinabè.

Una nuova moneta per staccarsi dalla Francia

Il piccolo paese alle porte del Sahel è uno dei più poveri dell’intera Africa, ma vanta alcune risorse minerarie importanti come oro, zinco e manganese che negli anni sono state sfruttate soprattutto dalla Francia. Il Burkina Faso insieme a Mali e Niger ha formato un’alleanza militare e strategica, organizzata e armata dai mercenari russi del Wagner Group, per combattre l’insurgenza jihadista nel nord, ma con scarsissimi risultati. Contemporaneamente questi tre paesi stanno puntando anche alla creazione di una nuova moneta che possa superare la dipendenza dal Franco CFA, la moneta creata da Parigi per controllare le economie africane. Proprio l’oro dovrebbe essere l’asset di riferimento per questa valuta che avrebbe però bisogno di un importante appoggio economico esterno e la Banca Centrale Cinese sembrerebbe disposta a sostenere la nuova moneta agganciandola al valore dello yuan, iniziando una sorta di de-dollarizzazione del mercato monetario africano. Una strategia sicuramente ambiziosa e che difficilmente potrà avere successo, ma che riparte proprio dal controllo delle materie prime e che sembra essere l’ennesimo schiaffo ad Europa ed Occidente nel cuore della vitale regione del Sahel.

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Matteo Giusti, giornalista professionista, africanista e scrittore, collabora con Limes, Domino, Panorama, Il Manifesto, Il Corriere del Ticino e la Rai. Ha maturato una grande conoscenza del continente africano che ha visitato ed analizzato molte volte, anche grazie a contatti con la popolazione locale. Ha pubblicato nel 2021 il libro L’Omicidio Attanasio, morte di una ambasciatore e nel 2022 La Loro Africa, le nuove potenze contro la vecchia Europa entrambi editi da Castelvecchi