«A ciascuno il suo Silvio e ognuno, con lui, per lui, da lui – beato lui – porta un pezzetto di sé». Anche se «nessuno, beato lui, è come lui». Lo narra Pietrangelo Buttafuoco nel suo libro «Beato Lui». Un romanzo, una commedia, una critica letteraria, su Silvio Berlusconi. Che si apre con il cavaliere Presidente della Repubblica, che sceglie i più bassi tra i corazzieri. Un giornalista dell’Unità con la barba, che il Presidente non la sopporta, gli si avvicina e gli dice «grazie alle mie apparizioni ben pagate nelle sue televisioni mi sono potuto comprare casa». E più commedia di così non può essere.

L’ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco è stato presentato ieri a Roma nella sede di Comin&Partner, e insieme all’autore ne hanno parlato Barbara Palombelli, commossa, e Matteo Renzi. Presenta Greta Mauro, in una sala gremita «perché Berlusconi tira ancora», dice il fondatore Gianluca Comin. Il libro è uscito qualche giorno dopo la scomparsa di Berlusconi, ma non è una biografia né un coccodrillo. Non si sono luoghi comuni, c’è ricordo, emozione e fantasia. Non è un saggio, né un atto d’accusa, né una ricostruzione storica e politica. Ma un racconto sull’uomo visto da un uomo comune che ne vede la gigantografia. Umoristico, perché solo le cose più serie meritano ironia.

«Nel 1994 Silvio vince alle urne ed è il presagio di un ullallà di cuccagna. È un inaudito più che un inedito», scrive Buttafuoco. Berlusconi «mette a nanna l’antifascismo, sveglia di conseguenza l’anticomunismo e finalmente inventa il bipolarismo».
Ma la sua è una vicenda artistica prima che politica. E quando spolvera la poltrona di Travaglio rievoca Totò e il signor Trombetta. Incarna la disobbedienza, fingeva di essere democristiano per presentarsi pacioso, ma con il suo ghibellinismo diede casa alla larga maggioranza di italiani che non l’avrebbero avuta dividendosi fra guelfi bianchi e guelfi neri. Buttafuoco cita Ionesco, quando disse ai rivoluzionari della fantasia al potere diventerete «tutti notai». Non ci diventarono perché arrivo Berlusconi e la fantasia al potere la portò lui.

Barbara Palombelli riprende il passaggio del libro sulla comunicazione di Berlusconi che passa dal corpo, dalla dentiera che regala alla signora terremotata dell’Aquila. Non come elemosina, ma come regali. Perché lui aveva capito gli italiani, che sono questo. E a tutte le persone che incontrava, chiedeva come sta tuo figlio, hai salutato la mamma, e a tutti regalava cravatte e fermargli, perché curava i dettagli. Perché voleva lasciare loro il suo ricordo, la sua attenzione.

Non si capacitava del fatto che non lo amassero abbastanza, racconta Matteo Renzi, ma uno come Berlusconi non rinasce per cent’anni. Non c’è nessuna eredità percorribile. «Una volta Blair mi disse una cosa di Berlusconi, parlando male di un leader di sinistra e bene di lui. Non era Prodi e non chiedetemi se aveva i baffi, altrimenti diventa indovina chi. Blair mi disse, parlo con Berlusconi e se mi dice sì è sì. Parlo con un altro, mi dice sì e poi mi frega».

Panegirico dell’arcitaliano, il libro di Buttafuoco edito da Longanesi.
Non se ne può fare dottrina di Berlusconi, ma sceneggiatura, canovaccio, rapsodia, dice Buttafuoco. Che ha provato a raccontarlo con il metodo della critica letteraria. Sono nove capitoli che scorrono senza cronologia. E c’è anche Stefano di Michele, che non c’è più. E con cui Buttafuoco immagina di aspettarlo, l’ultima volta, sul marciapiede di Palazzo Grazioli. Dove c’era la fermata del bus, che poi non c’è più. Ci vuole un titolo: «Ultimo tacco a Palazzo Grazioli».

Ed era il tacco di Berlusconi, anche quello, mai nascosto. Perché la sua grandezza passava da li. È la politica che ci consente di riattivare la favola dello spirito critico che è sentimento, ragione e passione. Siamo tutti narcotizzati, dice Buttafuoco, tutti attenti a parlare lo stesso linguaggio, tranne i ghibellini. «Il capovolgimento, con Berlusconi, non è mai solo risata, ma è sete di libertà».