Cristiano Ronaldo all’Empoli o Messi al Sassuolo? Sembra fantascienza calcistica. Ma se tornassimo indietro di quarant’anni sarebbe cronaca: Zico all’Udinese, Wim Kieft scarpa d’oro dall’Aiax al Pisa di Romeo Anconetani, Walter Casagrande centravanti del Brasile all’Ascoli di Costantino Rozzi. Era la Serie A dei tempi d’oro, quando il “Campionato più bello del Mondo” attirava nel Belpaese le più importanti stelle del pianeta che pur di giocare in Italia accettavano anche squadre di secondo piano. E se quest’anno l’Italia ha espresso tre finaliste nelle tre competizioni europee nel 1990 ne portò quattro; allora fu tripletta, quest’anno invece “zero tituli”.

Il calciomercato deve ancora cominciare ma già si è capito che anche stavolta l’Italia sarà il fornitore principale della Premier League e degli altri campionati europei: Tonali al Newcastle, Vicario al Tottenham, Kim al Bayern Monaco, Onana e Osimhen in rampa di lancio. Ed è solo l’inizio. Del resto la Premier League riesce a produrre ricavi per 6 miliardi e 400 milioni di euro contro i due e mezzo della Serie A e paga 4 miliardi e 300 milioni di euro di stipendi contro i due percepiti dai calciatori in Italia.

E sempre più prepotente si sta facendo il fascino dei petrodollari sauditi: dopo Cristiano Ronaldo sembra essere arrivata la volta di Brozovic, Lukaku e molti altri. L’Arabia li attende. «Nella Stagione Sportiva 2020 – 2021 si assiste nuovamente ad una riduzione del valore della produzione aggregato di Serie A, Serie B e Serie C, che non supera la quota di 3,5 miliardi di euro (-3,3%) – conferma il report calcio 2022 pubblicato sul sito della Figc -. Oltre al già analizzato decremento del ticketing, la voce di ricavo che mostra la maggior diminuzione riguarda le plusvalenze da cessione giocatori, più che dimezzate tra il 2019-2020 (817 milioni di euro) e il 2020-2021 (404), passando dal 23% al 12% di incidenza sul totale aggregato del valore dalla produzione».

Lo studio farebbe emergere anche alcuni dati positivi, ma il quadro pare essere determinato dagli effetti della pandemia sulla stagione precedente. «In merito allo scostamento tra la chiusura di bilancio e l’effettiva conclusione della Stagione Sportiva 2019-2020 – sottolinea il report – si registra un forte incremento dei ricavi da diritti televisivi e radio, che superano gli 1,6 miliardi di euro (+34,4%). In crescita anche i proventi derivanti da sponsorizzazioni e accordi commerciali, che aumentano dai 597 milioni del 2019-2020 ai 672 del 2020-2021 (+12,6%)».

C’è poi la situazione dei debiti (comune per la verità anche alle altre leghe europee): la Serie A registra debiti bancari per 1,068 miliardi. Di questa esposizione complessiva tre club detengono una quota pressoché totalitaria: Inter 390 milioni, Juventus 223, Roma 271. I bianconeri hanno ridotto l’indebitamento di 250 milioni, grazie all’aumento di capitale da 400 milioni del dicembre 2021, ma quasi 900 milioni su un miliardo di debito sono a carico di queste tre società mentre il Milan ha un indebitamento minimo (71 milioni) e il Napoli zero.

Tra le novità degli ultimi anni anche il massiccio arrivo di proprietà straniere: Milan, Inter, Roma, Fiorentina, Genoa, Spezia, Bologna, Venezia, Palermo, Parma parlano ormai un’altra lingua e le stelle e strisce la fanno da padrone. Investitori che non hanno certo scelto col cuore ma calcolando la possibilità di veder fruttare i loro capitali e realizzare stadi in grado di generare ricchezze. Purtroppo, non solo per loro, però non è andata proprio come volevano e spesso come in un beffardo gioco dell’Oca si sono ritrovati alla casella del Via. Emblematico il caso di Rocco Commisso capace di spendere oltre 100 milioni di euro per costruire a Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze, il Viola Park (l’avveniristico centro sportivo della Fiorentina) ma bloccato da burocrazia e situazioni paradossali che gli hanno impedito di realizzare uno stadio nuovo di proprietà per il quale avrebbe pagato tutto lui («Fast, fast, fast e cash» come ama ripetere).

Ma cosa è successo al nostro calcio che tra l’altro anche sotto il profilo tecnico e sportivo non se la passa benissimo se è vero com’è vero che non ha raggiunto la fase finale dei Campionati del Mondo nelle ultime due edizioni? Se è vero che i presidenti italiani hanno recitato il ruolo delle cicale negli anni novanta dilapidando gli ingenti ricavi delle tv mentre i colleghi delle altre Leghe investivano sul futuro, appare altrettanto chiaro che l’Italia è ormai nella preistoria per quel che riguarda impianti sportivi e infrastrutture.

In Inghilterra tutti i principali club hanno stadi di proprietà, nuovi e funzionali alle esigenze del football del terzo millennio: lo storico Wembley è stato abbattuto e ricostruito a tempo di record senza che nessun comitato o funzionario pubblico si mettesse di traverso per impedirne la realizzazione. Tottenham, Arsenal, West Ham hanno tutte una “casa nuova” e confortevole; Chelsea, Manchester United, City e Liverpool hanno tirato a lucido i loro impianti. Adesso volano per introiti e ricavi necessari a far lievitare il fatturato e dunque a vincere la sfida globale dell’industria del calcio.

Perché di questo si tratta ormai: il football rappresenta un asset importante dei principali paesi del mondo, solo dalle nostre parti sembra che nessuno lo abbia capito completamente e società come Milan e Inter, Roma e Lazio, Napoli e Fiorentina, chi per un verso chi per un altro, sono ancora alla ricerca di una soluzione definitiva. Passano gli anni ma niente cambia e così il nostro campionato diventa sempre più povero caratterizzato da un’inarrestabile emorragia di campioni. Una svolta potrebbe arrivare dall’organizzazione dei Campionati europei del 2032 dove l’Italia è chiamata a battere la candidatura della Turchia. Fino a qualche tempo fa una situazione che avrebbe fatto sorridere, adesso invece una sfida quasi impari perché al di là del Bosforo, non solo a Istanbul, sono stati costruiti stadi moderni ed efficienti. «Stando alla situazione attuale – fanno sapere dall’Uefa – l’Italia è in grave ritardo».

Giacomo Guerrini

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