Da più di trentanni la cronaca calcistica aggiorna su ogni campo un elenco di reiterate lacune comportamentali – perciò stesso mai corrette – benché siano giudicate come sgradevoli, diseducative, controproducenti e sebbene vengano punite con multe, squalifiche, penalizzazioni. Pertanto, al loro ciclico verificarsi sorgono ogniqualvolta tre domande d’invariata attualità: perché si ripetono questi comportamenti? Cosa occorre per porvi stabile rimedio? Chi può o deve per davvero occuparsene? È la contraddizione meno approfondita nella storia del calcio, poiché da subito impone reprimende personali, sanzioni disciplinari e provvedimenti straordinari, eppure da sempre non ispira azioni indispensabili sul come ridurre ammonizioni ed espulsioni o sul come diminuire le squalifiche. Basti vedere le tuttora assenti distinzioni – spiegate nel seguito – tra fase di gioco e “fase di non-gioco” o tra fallo di gioco e “fallo di non-gioco”, a riprova di un approccio incompleto sull’ordine delle priorità che ha sinora precluso i notevoli vantaggi di una stabile soluzione del problema.

Il ruolo

Una svista che mai come oggi ricade su ogni tema bruciante: approccio alla gara, continuità del gioco, rendimento di squadra, rispetto dell’arbitro, attrattiva sugli sponsor, visibilità di mercato, reputazione dei club, le cui criticità investono  tutti gli ambiti umani, sportivi, estetici, culturali, economici.Per definirne l’effettiva entità d’impatto sul rapporto costi-benefici, cito due esempi su quanto in via di realizzazione  per le prime squadre nel mio ruolo di precettore sportivo, il quale tramite focus di allenamento predefiniti con lo staff fa vivere i valori umani alla squadra sul campo abbattendo ammonizioni, espulsioni e squalifiche fino all’80%.

Gli esempi

Esempio 1. Sui 90 minuti di gara le fasi di gioco (tiri, finte, parate, passaggi, dribbling) durano in media 60 minuti, mentre le “fasi di non-gioco” (liti, risse, proteste, richiami, provvedimenti) coprono in media 30 minuti, cosicché tolti i 5 minuti per sostituzioni ed infortuni i restanti 25 minuti circa risultano persi o sprecati. Ebbene, quanti vantaggi avrebbe la squadra che beneficiasse di quei 25 minuti in più, dunque di circa 40 azioni in più e conseguentemente di 5 o 6 occasioni da rete in più?

Quanto varrebbero simili vantaggi beneficiandone in ogni partita se sulla classifica a fine campionato fruttassero dai 4-5 punti in più ai 9-10 punti in più? Di quanta supremazia beneficerebbe il club che per primo dominasse così alti e bassi delle “fasi di gioco” (sofferti  da tutti) con la stabilità nelle “fasi di non-gioco”? Di quante altre convenienze beneficerà poi sul piano operativo, strategico, progettuale, commerciale, pubblicitario?  Esempio 2. Nella gara i falli di gioco (sanciti dall’arbitro, in campo, a gioco in corso) sono in media 40, mentre i “falli di non-gioco” (compiuti da tesserati, in campo e fuori, a gioco in corso o fermo) sono in media 400, cosicché gli uni li si può solo ridurre e gli altri li si può quasi eliminare. Ebbene, quanti vantaggi avrebbe la squadra che disponesse di un calo squalifiche del 40% sugli uni e dell’80% sugli  altri, dunque di tutta la rosa al completo per schierare sempre la formazione ideale? Quanto varrebbero simili vantaggi disponendone in ogni partita se sul campo significassero più tempo, più energia,  più soluzioni, meno figuracce e meno sanzioni? Di quanta autorevolezza disporrebbe il club che per primo semplificasse così il difficile compito degli arbitri a garanzia della regolarità del gioco? Di quante altre convenienze disporrà poi sul piano morale, sociale, mediatico, filantropico, istituzionale?

Gli errori

Questi vantaggiosi risultati in realtà ambiti da tutti sono raggiungibili a patto di occuparsene come occorre, dunque operando sia sull’uomo che sul calciatore quotidianamente all’interno degli allenamenti stessi. Mentre infatti gli errori di gioco (dovuti al calciatore) sono corretti sempre con strumenti idonei ed esercizi continui – dentro l’allenamento e sul campo – essendo diffuso l’apposito know-how tecnico-tattico-atletico, al contrario gli errori di “non-gioco” (dovuti all’uomo) non sono corretti mai con strumenti idonei ed esercizi continui – né dentro l’allenamento né sul campo – non essendo diffuso l’apposito know-how valoriale. Apposta quando si trattò di costituirlo e di usarlo per primo in Italia, dimostrai agli staff quanto fosse assai più utile pretendere dalla squadra umiltà, sacrificio, correttezza, facendo vivere agli uomini che “sono” i calciatori di quella squadra il valore in sé ora dell’umiltà, ora del sacrificio, ora della correttezza, mediante incisive esercitazioni pratiche da svolgersi ogni giorno. È il balzo nell’ordine delle priorità che consente il precettore sportivo con la sua più idonea “cassetta di attrezzi”, grazie ai quali l’educazione diviene al contempo eticamente concreta, sportivamente produttiva ed economicamente vantaggiosa.

Paolo Marchesini

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