Cosa resterà di questa campagna elettorale per il Parlamento europeo? La fotografia l’ho scattata in questi giorni in Liguria e testimonia la definitiva sparizione della vecchia e fondamentale modalità di propaganda elettorale: il manifesto. Se qualcosa di stampato rimane è la pubblicità out door, quella che compare fuori dagli spazi tradizionali, sui mezzi pubblici, i taxi, sulle impalcature. E che può essere utilizzata solo prima della presentazione delle liste.
In qualche realtà permangono, sparute e malinconiche, tracce di ciò che fu la campagna sulla strada: il volantinaggio e i gazebo. E in chiusura i comizi vintage orientati, anche questi finalizzati ad attivare i già convinti. Tutti contro tutti.

La perdita di identità

Domina l’idea che per conquistare voti sia necessario attivare i propri elettori delusi da una non ben definita perdita di identità. Un’identità impermeabile all’evoluzione della società e della cultura. Inutile se non dannoso cercare una convergenza operativa su scelte programmatiche. Così attraverso le piattaforme social domina invece l’ossessivo rimbalzo di messaggi inoltrati tra già convinti ma sempre connessi in rete. Il retweet illude di essere parte di qualcosa, ma isola e non costruisce relazioni. Emerge così la totale obsolescenza delle leggi e dei regolamenti attinenti alle forme di propaganda elettorale. Ulteriore segno del distacco tra quotidianità della competizione tra partiti e impianto legislativo che dovrebbe regolarla al meglio, evidenzia l’inadeguatezza culturale degli attori politici nell’affrontare la contemporaneità. È emerso chiaramente dalle polemiche sul dibattito tv tra Meloni e Schlein che però ha confermato la persistente centralità della tv nei processi di costruzione della realtà sociale. Ma è una tv tutta nuova che vive del ping pong con le piattaforme social.

Il ruolo dei social

Ecco, il punto più evidente di questa campagna elettorale è l’affermazione definitiva dei social non solo come mezzi ma come costruttori di significato, cioè per il senso che la loro logica di sistema trascina e impone. E contrariamente a quanto si possa pensare è una logica top down niente affatto relazionale. Tante piccole piramidi e sempre meno connessioni reticolari che poi sono quelle che fanno sedimentare opinioni e credenze diffuse e stabili (almeno un po’ più stabili nel tempo).

La distanza tra elettori e candidati

Quali conseguenze sul sistema politico? Quella più preoccupante è l’aumento del distacco tra elettore e oligarchie che scelgono i candidati (faccio fatica a usare il termine partiti). Candidati che quindi rappresentano sempre più il leader o la sua cerchia ristretta (sempre più autoreferenziale) ma sempre meno l’elettore. Candidature newsworth (quelle acchiappa audience e like), una competizione di casting talmente simbolica da cancellare del tutto la funzione, il ruolo al quale la persona si candida, quello che andrà a fare concretamente. Tutto diventa immediato, senza intermediazione. Rapido, instabile, transitorio, effimero. Questo aumento del distacco tra rappresentante ed elettore lo si constata anche nella sparizione di una qualsiasi valutazione dell’operato degli eletti uscenti. Quello che hanno fatto o come si sono comportati non conta. D’altronde non conta nemmeno come si comporteranno, conta solo il valore simbolico che assumono con la loro presenza in lista (o meglio sul palcoscenico mediatico).

Il ricorso ai tecnici

L’elezione di candidati sempre più simbolici senza alcun rapporto con il lavoro da svolgere nell’istituzione alla quale si candidano ha però una conseguenza pesante: la politica si specializza nella rappresentazione spettacolarizzata ma così facendo lascia spazio alle specializzazioni tecniche, alle competenze necessarie per legiferare o governare. In nome della rappresentanza del popolo ci si allontana dal duro lavoro di interpretarne le esigenze delle persone nelle istituzioni, legiferando o governando. Arrivati al dunque, il politico capo popolo dovrà ricorrere ai tecnici. Così da un lato ci si lamenta dei tecnici e della tecnica che occupano lo spazio della politica, ma dall’altro la specializzazione politica si allontana dalle competenze necessarie per far funzionare le istituzioni e compiere scelte di governo efficaci.

Lavoro per i riformatori

Questo è emerso anche da quanto poco sia entrata nel dibattito pubblico di queste settimane la valutazione dei comportamenti degli eletti uscenti. Dato il sentimento populista dominante ci si sarebbe aspettati che almeno qualcuno si ponesse la domanda di come si sono guadagnati lo stipendio a Bruxelles. Ma questo non ha interessato nessun talk show, fa poca audience, è una merce che non si vende sul mercato dell’attenzione. Sommessamente direi però che senza ricostruire il legame tra eletto ed elettore, senza ripristinare la funzione di forme organizzative (partiti?) che reclutano, valutano, selezionano, organizzano la competizione (regole certe stabili trasparenti) tra i candidati in modalità appropriate all’attuale sistema mediatico comunicativo non se ne esce. C’è lavoro per i riformatori.

Mario Rodriguez

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