Rilettura dei classici
Camus e quello “straniero” che racconta di noi
Avete mai letto Lo straniero di Albert Camus? Come lo avete interpretato? Non sentite che resiste a ogni interpretazione? A me pare uno dei romanzi più enigmatici e sfuggenti che siano mai stati scritti! Nel gennaio di 60 anni fa ci lasciava il grande scrittore francese, giustamente celebrato in questi giorni su tutti giornali. La sua lezione etico-politica – condensata in innumerevoli libri e articoli – resta una delle eredità più preziose del secolo scarso (e ad esempio nello scontro con Sartre ci appare un gigante!). Ogni volta che rileggo Lo straniero mi sembra di interpretarlo in modo diverso (ricordo che un’estate di tanti anni fa se ne era innamorato il presidente Bush jr: che ci avrà trovato? L’odio per gli arabi del suo straniante protagonista?).
Meursault non si può considerare propriamente un modello morale, ma al tempo stesso Camus vi ha immesso qualcosa di eroico. Certamente non è un dandy omicida né un rivoluzionario anarchico né un personaggio decadente. Non discende da Ivan Karamazov e neanche da gruppi di cospiratori alla Necaev, ma più verosimilmente da un altro umile impiegato come lui, Bartleby lo scrivano, il personaggio di Melville, che replicava alle (normali) richieste al capufficio un disarmante: «Preferirei di no». Così Meursault risponde in un certo senso alla fidanzata: «Preferirei non sposarti, dato che non ti amo, ma se proprio ci tieni…» (sia Bartleby che Meursault finiscono in una cella!).
La sua passività è oltranzista. Inoltre: nella pagina conclusiva Meursault davanti al cielo stellato «si apre per la prima volta alla tenera indifferenza del mondo», mentre Bartleby muore nel cortile del carcere (arrestato per vagabondaggio), desolato ma con una «soffice erbetta prigioniera» che pure cresce là dentro. Il romanzo di Camus, incentrato su un protagonista apparentemente anaffettivo, privo di slanci, condannato a morte soprattutto per non aver pianto ai funerali della madre, risulta pieno di attenzione per la vita quotidiana, sempre uguale e straordinariamente piena di colori – nelle domeniche affollate e poi improvvisamente svuotate che Meursault scruta dal balcone – : gli spettatori che sciamano dai cinema «stanchi e trasognati», i giocatori che tornano dallo stadio in tram cantando e urlando, i ragazzi che corteggiano con spiritosaggini le ragazze del rione. Lui li osserva dal balcone, come uno spettatore.
E poi i pranzi, le chiacchere, i baci al cinema con Maria. Viene ritratta con un’esattezza partecipe la spuma dell’esistenza, la felicità impalpabile, smemorata degli atti quotidiani, come in un quadro di Renoir, in un film di Louis Malle o in una canzone di Charles Trenet… Meursault non poteva agire diversamente: prima il delitto assurdo, poi l’esecuzione capitale. Se però fosse sopravvissuto probabilmente lo avremmo trovato tra i partigiani francesi, nelle file della rivista “Combat” come Camus (dove rivendica il diritto di “battersi disprezzando la guerra”), perché dopo aver riconosciuto l’esistenza come paradosso il passo successivo potrebbe essere la scoperta del destino comune che unisce gli esseri umani, e dunque la necessità della rivolta.
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