C’erano una volta gli Stati Uniti d’America, fortezza del proibizionismo globale, inventori ed esportatori della “War on drugs”. Oggi sono diventati probabilmente il più interessante laboratorio di nuove politiche delle droghe. Un cambiamento di prospettiva insolitamente rapido e talmente diffuso nelle opinioni dei cittadini che entrambi i candidati alla presidenza – Kamala Harris e Donald Trump – si sono detti, per esempio, a favore della legalizzazione della cannabis, con il vincitore Trump che sostiene anche l’allentamento delle restrizioni federali.

C’erano una volta gli Stati Uniti e invece, purtroppo, c’è sempre l’Italia. Le commissioni Affari costituzionali e Giustizia del Senato stanno esaminando il Ddl Sicurezza. Le opposizioni hanno presentato circa 1.500 emendamenti. Nessuna proposta di modifica è stata invece avanzata dalla maggioranza. È evidente che lo scopo è quello di blindare il provvedimento, bloccare ogni tentativo di cambiamento e far approvare a Palazzo Madama, probabilmente con un voto di fiducia, il testo già passato alla Camera.

Le modifiche del DDL

Il Ddl dispone molte modifiche al codice penale estendendo sanzioni e aggravanti, formulando nuovi reati e in alcuni casi ampliando le pene previste per quelli già esistenti. L’articolo 18 recepisce l’emendamento voluto dal Governo che mette al bando la commercializzazione delle infiorescenze di canapa per usi diversi da quelli indicati dalla legge 242 del 2016 relativa alla canapa industriale. Alle infiorescenze si applicheranno, quindi, le sanzioni previste dal Testo unico sugli stupefacenti e le sostanze psicotrope.

I chiarimenti

Lo scorso 10 settembre il Dipartimento per le politiche antidroga ha pubblicato sul proprio sito internet dei cosiddetti “chiarimenti” secondo i quali il Ddl Sicurezza «non criminalizza né incide sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale della canapa» e «non crea contrasti normativi e giuridici con altri Paesi EU, essendo in linea con la normativa europea e la Convenzione Unica sugli Stupefacenti».

Io non so chi siano gli esperti interpellati dal Dipartimento, ma le cose mi pare stiano in maniera diversa. Infatti, il 4 ottobre scorso la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza che chiarisce definitivamente la questione della coltivazione e della commercializzazione della canapa industriale. I giudici hanno stabilito che gli Stati membri non possono imporre limitazioni alla coltivazione, inclusa la coltivazione indoor e quella finalizzata esclusivamente alla produzione di infiorescenze, a meno che tali restrizioni non siano supportate da prove scientifiche concrete riguardanti la tutela della salute pubblica. Prove che non ci sono.

I chiarimenti del Dpa

I cosiddetti “chiarimenti” del Dpa non riportano che a livello comunitario la canapa è classificata come “prodotto agricolo” e “pianta industriale” senza alcuna distinzione tra le varie parti. Poiché le infiorescenze coprono circa un terzo della pianta e dato che queste e gli estratti di Cbd rappresentano una buona parte dei prodotti in vendita, vietare la loro lavorazione significa privare agricoltori e produttori della maggiore fonte di reddito e scoraggiare la coltivazione della canapa. Ma non solo. Le infiorescenze contengono una quantità di delta-9-tetraidrocannabinolo (Thc, il principio psicoattivo della canapa) inferiore a quella in grado di provocare il cosiddetto “effetto drogante” e sono invece ricche di cannabidiolo (Cbd).

Il cannabidiolo

Già nel 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità aveva invitato l’Onu a togliere il cannabidiolo dalle tabelle degli stupefacenti e nel 2020 una sentenza della Corte di giustizia europea aveva dichiarato che non è uno stupefacente giudicando legittima la sua estrazione dall’intera pianta di canapa, non solo dalle fibre e dai semi.

I cosiddetti “chiarimenti” del Dpa sostengono invece che il Cbd, derivato dalla cannabis, è un prodotto contenente princìpi attivi tali da averne reso necessario l’inserimento nelle tabella dei medicinali allegate al Testo unico sugli stupefacenti. Ma lo scorso 11 settembre il Tar del Lazio ha sospeso il decreto del ministero della Salute del 27 giugno che inseriva le “composizioni per somministrazione ad uso orale di cannabidiolo ottenuto da estratti di cannabis” nelle tabelle delle sostanze stupefacenti e psicotrope: l’udienza di merito si terrà il 16 dicembre.

Le inflorescenze e i suoi derivati

C’è ancora dell’altro: secondo il Dpa, dopo l’entrata in vigore della legge 242 del 2016, «è stata avviata, illecitamente, anche la produzione e la commercializzazione, nei cosiddetti “cannabis shop”, di inflorescenze e suoi derivati, acquistati per un uso ricreativo, insinuando nella collettività la falsa idea di legalizzazione di una cannabis definita, erroneamente, “light”». Non c’è niente di illecito: la produzione e la commercializzazione delle inflorescenze e dei derivati non sono espressamente indicati (e questo è un limite della legge), ma non sono nemmeno proibiti.

In uno Stato liberale ciò che non è proibito è lecito (purché, ovviamente, non metta a rischio la sicurezza e la salute pubblica, ma non è questo il caso). È secondo questo principio che è nata la “cannabis light” con un Thc inferiore allo 0,2% (priva dunque di “effetto drogante”) e ricca di Cbd che ha effetti calmanti, antidolorifici e antinfiammatori. Affermare che produzione e commercio hanno insinuato «la falsa idea di legalizzazione di una cannabis definita, erroneamente, “light”» è un’accusa infondata che diffama agricoltori, produttori e commercianti.

Droga ciò che droga non è

Sostenere che l’articolo 18 del Ddl Sicurezza «non incide e non altera il mercato da essa derivato, consentendo la prosecuzione delle attività di chi ha investito nel settore», come si legge nei chiarimenti del Dpa, non corrisponde al vero. Non lo dico io: lo dicono gli agricoltori, i produttori e i commercianti. È un provvedimento che considera droga una sostanza che droga non è, sanziona penalmente ogni attività di lavorazione e commercio delle infiorescenze e dei prodotti derivati e distruggerà il comparto produttivo e commerciale della canapa causando la chiusura di centinaia di aziende e la perdita di migliaia di posti di lavoro. C’è qualcosa di peggio del proibizionismo: è il fanatismo proibizionista. Il risultato è una politica sempre più separata dalla realtà, preda di un furore repressivo e punitivo che prende il sopravvento sulle evidenze e sul buon senso.

Da un intervento di Roberto Spagnoli

Autore

Vice caporedattore di Radio Radicale