Grande riforma tra dubbi e tensioni
Caos premierato, anche la Lega vacilla. Gelmini: “Troppe incognite aperte”
Giorgia Meloni vuole la corsia veloce, ma sul ballottaggio scricchiola la maggioranza: Romeo è contrario. Appello di Lupi alle opposizioni da cui non arrivano segnali. Si andrà a referendum, pronti i comitati per il Sì
Il Premierato in corsia di sorpasso, o di emergenza? La strada spianata in Parlamento che Giorgia Meloni ha imposto ai suoi – mettendo anche i fedelissimi Fazzolari e Cirielli in pressing sul presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato, Alberto Balboni – accelera l’iter legislativo della sua “Grande riforma” senza chiarirne i connotati. Con il via libera all’emendamento del governo sul cuore della riforma, l’elezione diretta del presidente del Consiglio, è stato dato un primo sì all’introduzione in Costituzione del principio di governabilità e di rappresentatività. Data questa cornice, la legge elettorale, per la ministra Elisabetta Casellati, arriverà solo in secondo momento, dopo la prima lettura. Ma è già forte la pressione della premier e dunque di tutta FdI. Il nodo è il ballottaggio.
Per Balboni è «l’unica soluzione» se non si raggiunge una soglia di almeno il 42-43% dei voti. Una ipotesi a cui ha aperto ieri anche la ministra Casellati. Ma si è riaperto il dibattito dopo le dichiarazioni del capogruppo della Lega Massimiliano Romeo, che ha detto che il ballottaggio è un sistema che non gli piace. Durante i lavori della commissione il senatore Pd Dario Parrini ha citato le parole di Romeo, aggiungendo: «Come si fa a continuare con posizioni all’interno della maggioranza del tutto divergenti? Prendetevi 10 giorni e decidete». «Con la Lega che non vuole il ballottaggio mentre FdI lo propone», per il capogruppo dem Francesco Boccia, «Siamo di fronte ad una maggioranza nel caos che non sa più che direzione prendere”. «Romeo non ha detto che non si farà il ballottaggio, ha detto che non gli piace», la chiosa di Balboni. La tensione tra gli alleati è palpabile. La Lega ha i suoi mal di pancia interni anche dovuti alle difficili digestioni del no al terzo mandato – ieri Luca Zaia era a Roma, e chi lo ha incontrato non lo descrive in missione di pace – e ai timori che l’autonomia differenziata, finita sul binario secondario, venga accompagnata su quello morto. I sondaggi che vedono Forza Italia sopra al Carroccio danno la fotografia della crisi leghista. Che si riverbera sulla tenuta della maggioranza e in particolare scolora l’adesione della Lega al Premierato così com’è. In questo quadro agitatissimo, gli appelli alle opposizioni cadono nel vuoto.
«Il Melonato non lo voteremo mai», taglia corto Riccardo Magi, +Europa. Italia Viva è uscita dall’aula al momento del voto, non avendo gli elementi per votare a favore o contro. Azione è per il modello tedesco, per il rafforzamento dei poteri del premier senza elezione diretta. «Ci sono dubbi dei leghisti, espressi adesso anche dal capogruppo in Senato, Romeo. Figuriamoci se non ne abbiamo noi. C’è stata una apertura di Balboni sul ballottaggio, peccato che non hanno indicato la soglia. E questo cambia tutto. Di cosa stiamo discutendo?», si chiede Maristella Gelmini. «Peraltro constatiamo che gli emendamenti che abbiamo proposto non sono stati accolti, dunque la nostra posizione rimane di forte criticità. Discutere di un modello di presidenzialismo senza conoscere la legge elettorale, senza chiarezza sul ballottaggio, senza indicarne la soglia, è praticamente un’operazione impossibile. La proposta del governo non è valutabile, mancano parti fondamentali. Senza conoscere quegli elementi su quale base si discute?» sottolinea al Riformista la senatrice di Azione, Maristella Gelmini. Mani tese dal leader di Noi Moderati, Maurizio Lupi, che auspica una dialettica con i centristi dell’opposizione.
«Confrontiamoci sulla riforma senza preconcetti e bandiere ideologiche. Il nostro obiettivo è modernizzare le istituzioni e rendere più rapido il percorso legislativo». I segnali per il momento sono intermittenti. Come d’altronde gli elementi che le opposizioni hanno in mano per valutare la riforma nel suo complesso. «L’assenza di una autentica regia su questa riforma, e di un pensiero reale attorno ad essa, non ci consente nè di iscriverci al partito dei fautori muti quando non mugugnanti, né di quello degli oppositori aprioristici e apocalittici. Continueremo a tenere la nostra proposta di una riforma seria, organica e moderna. Prima o poi si dovrà tornare lì», dice il capogruppo di Iv al Senato, Enrico Borghi. Non si arriverà mai alla maggioranza qualificata in Parlamento che si rende necessaria per la riforma costituzionale. Fratelli d’Italia sa che dovrà prepararsi a una battaglia dura, dentro e fuori dal Palazzo.
Ieri il partito della premier ha lanciato i comitati civici a sostegno della riforma, con l’obiettivo di preparare una rete sul territorio in vista dell’ormai scontato referendum confermativo. «Non uno strumento di partito ma rappresentativo della società civile», ha spiegato il senatore Andrea De Priamo: «Fino ad oggi stiamo conducendo una battaglia molto dura all’interno del Palazzo, visto che l’opposizione sta legittimamente facendo una battaglia ostruzionistica”, ma «è opportuno che la si cominci a fare anche fuori. Ci sarà un prevedibile referendum e nasceranno i comitati per il ‘Sì’, ma avere già in campo un comitato ci darà più forza per far comprendere i contenuti ai cittadini». «Una battaglia non per l’oggi ma per il domani – il mantra di Balboni, che conduce i giochi sulla riforma – per fare un passo avanti verso la democrazia diretta». Per Balboni la riforma sarà un «forte incentivo a consolidare il bipolarismo, le coalizioni cercheranno di essere competitive e ci sarà una forte spinta all’aggregazione: si renderà irreversibile il bipolarismo, che significa democrazia dell’alternanza».
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