Maurizio Maddaloni, ex presidente della Camera di Commercio di Napoli, commenta con il Riformista l’esodo che ha colpito l’Unione Industriali di Napoli.

Come legge il terremoto che ha scosso l’Unione Industriali di Napoli?
«Che io sappia ci sono state da un lato una serie di questioni collegate alle politiche di sviluppo di certi pezzi di territorio, dall’altro un confronto serrato sul modello di sviluppo che l’Unione deve rappresentare. A cominciare, dal dibattito per Napoli Est. È possibile che siano stati fatti degli errori, ma devo dire che a fronte degli addii di alcuni imprenditori di un certo calibro, mi risulta che in questo anno ci sono state più di 150 iscrizioni di nuove aziende. Forse non altisonanti come coloro che sono andati via. Da esterno, ho notato comunque una certa vitalità propositiva dell’Unione Industriali».

Sarà anche vero, ma allora perché i “big” hanno detto addio all’Unione Industriali sostenendo che l’associazione non fosse in grado di svolgere le sue funzioni?
«Questo lo hanno detto cinque o sei imprenditori, credo. Non so quando le motivazioni date dalle aziende che hanno lasciato l’Unione siano direttamente legate a questioni di politica sindacale, mi pare siano legate a questioni diverse. Ecco».

A quali questioni si riferisce?
«Penso, e questo va evitato, che alcuni imprenditori abbiano considerato l’Unione Industriali come una camera di compensazione e di scontro per questioni personali o per questioni interaziendali, di interessi del tutto legittimi ma dove gli scontri non hanno nulla a che vedere con le linee programmatiche di azioni di un importante organo come l’Unione Industriali di Napoli. L’associazione diventa così cassa di risonanza di motivi diversi da quelli strettamente istituzionali. Penso, quindi, che si stiano confrontando gruppi di potere che non sempre in questa fase condividono obiettivi e strategie. Bisogna evitare, però, che l’associazione diventi l’oggetto del contendere perché semmai alle spalle ci sono motivi poco istituzionali e molto privati».

A maggio ci sarà un cambio di passo e l’unico candidato al momento è Costanzo Jannotti Pecci, le piace come nome?
«Assolutamente sì. Credo sia una persona validissima, proviene da una famiglia di veri e stimati imprenditori campani molto importanti. È il presidente dei termalisti, è stato presidente di Federturismo e non penso che il turismo sia il figlio di un Dio minore in Confindustria. Non credo, anzi, è una delle chiavi di sviluppo più importanti in questo momento. Non è più il tempo delle grandi aziende manifatturiere, che tra l’altro non ci sono, ma è il tempo del settore terziario e del turismo. E credo che Jannotti Pecci sia molto indicato per la presidenza, sono convinto che saprà dimostrare la sua assoluta autonomia anche rispetto alle pressioni della politica e sarà capace di ricompattare l’associazione».

Eppure, Lettieri ha detto che si sarebbe aspettato che il candidato per la guida dell’associazione fosse un industriale e non un albergatore…
«Mah… reputo Lettieri una persona troppo intelligente per dire una cosa simile. Se l’ha detto, credo siano riaffiorati antichi risentimenti personali che nulla hanno a che vedere con il merito della scelta. A questo punto Lettieri dovrebbe lamentarsi anche del fatto che per sei anni alla guida della Camera di Commercio ci sono stato io che faccio parte del settore turistico. Se l’associazione deve diventare terreno per delle lotte intestine, perché si scontano antipatie personali o questioni legali e antiche, non se ne esce più».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.