Il sindaco di Bibbiano accusato di aver concesso dei locali pubblici a un’associazione coinvolta nell’inchiesta sugli affidi in Emilia Romagna non doveva essere arrestato. A dirlo è la Cassazione che lo ha di fatto reintegrato nella sua funzione. L’inchiesta non è chiusa ovviamente, ma si cominciano a sistemare le tessere di un mosaico piuttosto complicato. Questa di Bibbiano è una vicenda triste e preoccupante per molte ragioni. Innanzitutto perché coinvolge dei minori, bambini in difficoltà, che sarebbero stati sottratti ai legittimi genitori per favorire genitori affidatari. Ha gettato un’ombra pesante sugli affidi in Italia, un meccanismo che tra mille problemi funziona e dà buoni risultati soprattutto dove esiste una tradizione di reti solidali che spingono molte famiglie a proporsi per accogliere minori in difficoltà.

Ha minato la buona fama del welfare emiliano romagnolo, un modello in Italia e in Europa. Ha coinvolto un comune e un sindaco di un piccolo centro, Andrea Carletti, vicino al Pd, riferimento di una comunità locale integrata e ben amministrata. Le luci della cronaca giornalistica hanno subito puntato i riflettori – anche fuor di metafora – sulla vicenda in primo luogo per il coinvolgimento dei piccoli e poi perché a qualcuno, cioè a Lega e 5 stelle, è sembrata l’occasione d’oro per gettare discredito e infamie sulla buona amministrazione emiliano romagnola: ci si sono buttati, in piena campagna elettorale, per strumentalizzare e mettere all’indice un sistema prima ancora che un reato. Quale occasione migliore? Bibbiano, provincia di Reggio Emilia, dove sono nati e moltiplicati gli asili più belli del mondo, dove l’occupazione femminile è tra le più alte in Italia e in Europa, diventa immediatamente set di un dramma moderno. Le indagini sono ancora in corso. E come da dettami garantisti, rispettiamo il lavoro della magistratura. Anche se il pieno rispetto per l’autonomia della Magistratura non impedisce che sulle inchieste come in questo caso, si possa esprimere più di qualche perplessità.

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Tuttavia ora non interessa il giudizio sull’operato dei giudici, quanto la vergognosa scelta di tanti esponenti politici di associare il Partito Democratico all’inchiesta per via del coinvolgimento del sindaco Carletti che come abbiamo visto esce decisamente ridimensionato. Oggi alla luce della sentenza della Cassazione vogliamo dirlo chiaro: la maglia della candidata leghista in Emilia Romagna, Lucia Borgonzoni, esibita in Aula al Senato con la scritta “Parliamo di Bibbiano” è stata una volgare pagliacciata, un’offesa alle istituzioni, la prima di una lunga serie di gaffe inanellate dalla candidata tutte volte a dimostrare – inutilmente – l’inconsistenza e i limiti del “sistema Emilia”. Non a caso poi sono seguiti l’attacco alla sanità emiliana, le fake news sulle tasse su plastica e zuccheri, fino agli errori sui confini della Regione. L’attacco di Di Maio è stato più rozzo, volgare tentativo di compiacere l’alleato del tempo, vellicando gli orientamenti populisti di una parte del suo elettorato. Oggi la domanda è: chi chiederà scusa al sindaco? Chi risarcirà il Pd per una vergognosa campagna diffamatoria? È stato offeso un partito, una comunità: per giorni e settimane il Pd è stato associato alle peggiori nefandezze ai danni di bambini. L’obiettivo era chi porta avanti nel paese, in Emilia, le buone pratiche, le cose che funzionano e aiutano le persone, soprattutto quelle più fragili. Venivano prese di mira mentre si trascinava il Paese in una crisi politica senza precedenti per modalità e tempi. Nessuno ci toglierà dalla testa che in quei giorni Bibbiano serviva a preparare il Papeete (“datemi pieni poteri”) e a coprire le notti ambigue di Salvini e dei suoi a Mosca. Il gioco è stato scoperto, per una volta prima dalla politica che dalla magistratura.

Andrea De Maria

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