Noi siamo corpo, non ologrammi. E i sentimenti e il pensiero, caratteristiche che ci rendono umani, non sono altro che il risultato dello scambio profondo di ondate sensoriali e percettive che si realizzano nell’unità corpo-mente. Il tatto non è solo importante per riconoscere se una superficie sia di velluto o carta vetrata. È anche implicato nella formazione di quei recettori periferici capaci di segnalarci la piacevolezza di un contatto pelle-a-pelle che ci spinge al “tocco” interpersonale e allo sviluppo di comportamenti affiliativi.

E questo inizia prima ancora che noi si venga al mondo. Le prime carezze ce le fa il liquido amniotico facendoci sperimentare, ancora feti, la prima esperienza di “tocco affettivo” grazie al sistema tattile CT (C-Tactile). Il “tocco affettivo” è leggero, ha la temperatura della pelle e non supera la velocità di 10 centimetri al secondo: è una carezza, un abbraccio tenero, una pacca leggera di esortazione, una coccola per celebrare l’amore di chi si ha davanti.

Ma può anche essere lo “swip” sul touch screen, il primo tuffo che ci fa immergere nella dimensione di un “meta” dove il corpo lascia spazio a ologrammi. Complici anche esecrabili atteggiamenti molesti, fobie post-pandemiche e demonizzazioni varie, le interazioni tattili tra individui risultano scoraggiate e ci si sta progressivamente disabituando a toccarci. Eppure, “bisognerebbe potersi immergere ogni giorno in una pozza d’acqua nella quale, stretti in un abbraccio, sciogliere per un po’ il peso della vita”, scrive Ada d’Adamo.

E ha ragione! Anche perché quando ci abbracciamo rilasciamo ossitocina, ormone che ci fa sentire meglio e che promuove lo sviluppo e il mantenimento delle nostre relazioni sociali e affettive. Il “tocco affettivo” è strettamente legato all’esperienza cosciente di noi come corpo che agisce, alla nostra percezione del sé corporeo grazie alla quale quando vogliamo scrivere cerchiamo una penna e non la mano.

Tanto è importante questo sistema tattile affettivo che eventuali distorsioni potrebbero tradursi in disturbi di vario tipo come nelle donne affette da anoressia nervosa che svilupperebbero una sorta di “anedonia tattile”: le stimolazioni, non solo affettive ma anche sensoriali, verrebbero percepite come meno piacevoli di quanto in realtà esse non siano. E c’è già chi sostiene che l’elemento centrale dell’anoressia sia proprio il disturbo dell’immagine corporea per l’alterata capacità di previsione, rappresentazione e regolazione cognitiva di ciò che sta accadendo nel corpo e che apre la strada a quell’analfabetismo emotivo chiamato alessitimia.

Accarezzare, però, non basta. Non soltanto la quantità ma anche la qualità dei tocchi affettivi è importante. Se si espone un bambino a interazioni tattili intrusive e negative, se lo si solletica sempre in modo prepotente e poco delicato, se i “vola vola” sono troppo frequenti e usati per contenere i comportamenti più che per giocare, quel bambino si ciuccerà il dito o starà sempre in braccio per avere una compensazione tattile.

Il corpo non è quello postato sui social e ritoccato con filtri e photoshop. Recuperiamo la nostra corporeità e riprendiamoci il tempo per il “tocco affettivo”. È quando smettiamo di vivere “dentro noi stessi” e troppo online che il nostro corpo ci diverrà alieno e minaccioso. È sul corpo incarnato che si fonda tutta la nostra identità, non nella virtualità dei social. In assenza di identità i “like” potranno anche essere tanti ma il vuoto sarà sempre e solo uno.

E proprio questo vuoto, lasciato in origine da “tocchi affettivi” mancati, potrebbe essere colmato, prima o poi, da dipendenze patologiche varie e tossicomanie del niente. Quelle che stanno portando la Cina verso il limite di 2 ore al giorno e stop di notte per l’uso di tablet e smartphone sotto i 18 anni.