16 mesi di reclusione
Carlo Fuortes condannato per omicidio colposo: quando il datore di lavoro diventa capro espiatorio

Se in un teatro un operaio inciampa e muore dopo aver sbattuto la testa, la colpa è del direttore del teatro. È quanto capitato questa settimana all’ex Sovrintendente della Fondazione Teatro dell’Opera di Roma, Carlo Fuortes, condannato a 16 mesi di reclusione per il reato di omicidio colposo dai giudici della sesta sezione penale del Tribunale di Roma. Il processo riguardava la morte di Oberdan Varani, l’addetto alle pulizie che il 31 luglio del 2017 precipitò in un vano del teatro, sbattendo violentemente la testa e morendo in ospedale dopo 9 giorni di coma. Insieme a Fuortes, nominato questo mese Sovrintendente del Maggio musicale fiorentino, è stata condannata anche la titolare della società per cui lavorava Varani.
Tra responsabilità oggettiva e soggettiva
In attesa del deposito delle motivazioni, si può già affermare che i giudici della Capitale hanno seguito sul punto una giurisprudenza ormai consolidata che fa però a pezzi il principio costituzionale secondo il quale la responsabilità penale è “soggettiva” e non, come in questo caso, “oggettiva”. La Cassazione, seguendo come detto un orientamento costante, ha infatti da tempo attribuito sul datore di lavoro l’intera responsabilità dell’organizzazione complessiva e dell’osservanza delle misure generali della sicurezza sul lavoro nella propria azienda. La chiave di volta è il comma 2 dell’articolo 40 del codice penale secondo il quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Al datore di lavoro, in altre parole, oltre all’adozione delle misure di sicurezza necessarie, compete anche la predisposizione di quelle relative a rischi non specificamente previsti, come ad esempio quelli derivanti da operazioni saltuarie che non rientrano nel normale ciclo di produzione inserito e valutato all’interno del Documento di valutazione dei rischi (Dvr). Il datore di lavoro, pertanto, ha l’obbligo di adottare idonee misure di sicurezza anche in relazione a rischi non specificamente contemplati dal Dvr, così sopperendo all’omessa previsione anticipata.
La morte di Oberdan Varani
Nel caso di Fuortes, non si comprende quali cautele abbia omesso di predisporre il sovrintendente. La vicenda risale all’estate di 6 anni fa. Varani, all’epoca dei fatti cinquantenne, quel giorno doveva eseguire delle pulizie straordinarie nella fossa sotto il palco. Per raggiungere la zona, alquanto impervia, aveva utilizzato una scala di tipo retrattile. Dopo il primo gradino, l’uomo era però scivolato, sbattendo dunque la testa sul pavimento. I soccorritori si resero subito conto che Varani, pur non essendo precipitato da una grande altezza, versava in gravissime condizioni. Trasportato d’urgenza in ospedale, per più di una settimana lottò tra la vita e la morte. Ma non ci fu niente da fare ed il 9 agosto morì senza aver mai ripreso conoscenza. La scala in questione utilizzata da Varani, secondo l’accusa, non sarebbe stata a norma. Né il teatro né l’azienda, a cui i lavori erano stati appaltati, avrebbero fornito all’operaio uno strumento sicuro ed idoneo. Per la pm Antonella Nespola che ha sostenuto l’accusa, la vittima non era stata adeguatamente formata circa quella specifica attività da svolgere: circostanza che Fuortes non poteva certo minimamente immaginare. E anzi, forse nemmeno sapeva che quel giorno si sarebbe proceduto a quella pulizia. Il suo decesso sarebbe stato dunque evitabile e non frutto di una tragica fatalità, se solo il malcapitato avesse avuto piena cognizione del tipo di lavoro da svolgere e dei possibili profili di rischio.
La difesa di Fuortes
L’avvocato Alessandro Gamberini, difensore di Fuortes, nel corso del dibattimento aveva evidenziato un possibile concorso di colpa dell’operaio: il tasso etilico della vittima in quel momento era molto alto, pari a circa 1,3 mg. Per capirci: se Varani fosse stato fermato in quelle condizioni alla guida di un’auto, sarebbe scattato per lui l’arresto fino a 6 mesi di carcere e la sospensione della patente fino ad un anno, oltre ad una maxi multa da 3000 euro. Alcun concorso di colpa è stato riconosciuto dal tribunale. Anche in una situazione del genere, sempre secondo la giurisprudenza della Cassazione, il datore di lavoro è chiamato a proteggere l’incolumità del lavoratore e a prevenire i rischi insiti nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia del medesimo nell’esecuzione della prestazione, dimostrando pertanto di aver posto in essere ogni precauzione a tal fine idonea. La circostanza che il lavoratore abbia tenuto una condotta negligente o imprudente, come quella di essere andato al lavoro non in perfette condizioni fisiche, dovute all’alterazione dall’assunzione di alcol, non è sufficiente di per sé ad escludere la responsabilità del datore di lavoro che non abbia adottato le misure necessarie a tutelarne la salute.
Lo scenario
Secondo la ricostruzione della Procura, sposata in toto dal Tribunale, al Teatro dell’Opera ci sarebbe stata allora una conduzione superficiale dei lavori di manutenzione in violazione delle norme sulla sicurezza e gestione dei rischi presenti sul posto. “Una prassi contra legem che è stata dimostrata dall’istruttoria dibattimentale”, ha puntualizzato l’avvocato Luca Montanari, legale di parte civile dei familiari di Oberdan Varani, a cui i giudici hanno anche disposto il pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di 220mila euro da parte di Fuortes. Ma allora cosa avrebbe dovuto fare Fuortes per essere “in regola”? Presenziare ai lavori? Verificare i titoli formativi di ogni operaio? Quanto accaduto non può non far riflettere sull’evoluzione che ha avuto negli anni il diritto del lavoro in questo specifico ambito: se certo bisogna fare di tutto per evitare che succedano tragedie del genere, ravvisare responsabilità “di vertice” a prescindere, non pare una soluzione che eviti il ripetersi di tali infortuni. La memoria non può, quindi, non andare al disastro ferroviario di Viareggio del 2009 dove tutti i vertici dell’epoca delle Ferrovie furono ritenuti responsabili. Per quei fatti, l’ex ad di Trenitalia Vincenzo Soprano, condannato in via definitiva 4 anni e 2 mesi, si trova dallo scorso gennaio in carcere. Altro che “paura della firma”. Qui c’è da avere il terrore. E non poco.
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