Ed ecco a voi una significativa storia di coerenza politica, presa pari pari dall’Europa che c’è, esiste davvero, non è l’eterna incompiuta. L’ex venditore ambulante Nijeem Osama Almasri, oggi spietato massacratore di gente inerme, esperto in torture e stupri anche di bambini, è ricercato dalla Corte penale dell’Aja. Infatti gli Stati Uniti d’Europa – questa la denominazione assunta nel 1992 alla firma del Trattato di Maastricht – con fermezza hanno fissato dei limiti molto severi ai loro accordi con i paesi di partenza dei barconi. Finanziamenti anche cospicui, ma gestione di polizia comune e nessun abuso su chi viene trattenuto nei centri temporanei da cui si decidono i rimpatri.

La violenza contro le donne e i bambini, in particolare, è soggetta alle stesse sanzioni della legislazione europea. Al minimo ricatto – tipo “se non rilasciate Almasri vi saranno rappresaglie contro l’Eni o i cittadini europei in Libia” – gli Stati Uniti d’Europa interrompono gli accordi e i rapporti diplomatici. Almasri, quindi, è un criminale per tutti, o non lo è per nessuno. Come dite? Che non è andata proprio così? Che nella realtà Almasri è stato 12 giorni in giro fra Londra, Bruxelles, Monaco e Torino, e che qualcuno, come dice Paolo Mieli, ha voluto tirare “un pacco” al governo italiano? Che non si sa neppure cosa l’Unione intenda per accordi con i paesi nordafricani e con la Turchia, e che l’unica regola che vige è quella di fingere di non vedere e di non sapere, per poi scaricare su qualcuno la patata bollente?

Mi sa che avete ragione. Sui temi più importanti – come guerre, sviluppo industriale e Green Deal, Intelligenza Artificiale e tecnologie, immigrazione e rapporti con i paesi di transito – la voce dell’Europa arriva frammentata, flebile e a tempo scaduto. I ritmi decisionali di Donald Trump lo hanno reso ancora più evidente, dall’Ucraina fino a Gaza, dai dazi fino all’IA. Quella di Bruxelles è un’Europa in mezzo al guado, con i suoi assi di comando e i suoi poteri di veto (prima Francia-Germania e paesi “frugali”, ora persino un Orbán qualsiasi).
L’Europa si è unita nel girone unico della Champions League, questo sì. Per il resto è una sinfonia interrotta a metà, un ponte sospeso sul politicamente corretto, un grande progetto intrappolato in un sistema istituzionale che la rende ostaggio di sé stessa. Intanto, al suo interno operano forze che se la intendono con il nemico, patrioti che non la vedono certo come patria e reazionari agguerriti e pronti all’assalto di tutte le Bastiglie.

La verità non può più essere bisbigliata. O si torna al sogno di Ventotene, o almeno del Trattato di Roma, della moneta unica, del “whatever it takes” di Draghi e delle sue raccomandazioni su un’unica politica estera, di Difesa e industriale, oppure è meglio un semplice coordinamento di Stati sovrani. Ognuno, così, avrà il diritto di contare sempre meno e di diventare da solo colonia di qualche impero. Ma senza più l’alibi del “ce lo chiede l’Europa”.