Una nuova svolta sul caso di Julian Assange. Il fondatore di WikiLeaks ha ottenuto il diritto di chiedere alla Corte Suprema del Regno Unito di bloccare la sua estradizione negli Stati Uniti, dove è ritenuto responsabile di 18 capi di accusa per spionaggio e pirateria informatica che potrebbero costargli fino a 175 anni di carcere.

Il più importante tribunale britannico ha accolto così la richiesta depositata dai legali del fondatore di WikiLeaks per “questioni di diritto di rilevanza pubblica generale”. Lo stesso tribunale, lo scorso 10 dicembre, aveva ribaltato la sentenza di primo grado che, il 5 gennaio 2021, aveva negato la consegna del cinquantenne australiano alla giustizia americana sostenendo che il suo stato psicologico lo avrebbe potuto spingere al suicidio.

La decisione rinvia di almeno alcuni mesi l’eventuale consegna del cinquantenne australiano agli Usa, dal momento che non sono chiari i tempi per arrivare a una prima pronuncia dei supremi giudici britannici sull’ammissibilità della procedura, e poi eventualmente a un nuovo verdetto.

Assange è finito nel mirino di Washington per aver diffuso 500 mila documenti coperti da segreto, molti dei quali relativi alle attività belliche degli Usa in Afghanistan e Iraq. Il 50enne australiano si è rifugiato presso l’ambasciata ecuadoriana a Londra nel 2012 perché temeva l’estradizione, rimanendo per sette anni nella sede consolare, fino a quando non è stato rimosso con la forza e inviato a Belmarsh nel 2019: il fondatore di WikiLeaks per il momento rimarrà nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, la cosiddetta “Guantanamo di Londra”, in quello che è l’ultimo capitolo di una lunga saga giudiziaria che ha fatto sorgere complessi interrogativi sui confini tra libertà di stampa e sicurezza nazionale.

Gli avvocati di Assange sostengono che nelle prigioni statunitensi potrebbe essere detenuto in condizioni che possono portare a un serio rischio di suicidio. Nonostante il pronunciamento dell’Alta Corte di Londra, Assange non ha alcuna garanzia sulla sua estradizione. Stella Moris, la fidanzata del fondatore di WikiLeaks e madre dei suoi due figli, commentando a caldo il verdetto ha affermato che “Julian ha vinto”, non senza precisare come peraltro la partita verso il ricorso non sia in effetti ancora chiusa. Diversi sostenitori, radunati di fronte al Palazzo di Giustizia, hanno comunque festeggiato, innalzando slogan e cartelli contro l’estradizione di Julian Assange negli Usa.

Redazione

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