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Caso Becciu, violazione dei diritti di difesa o rescripta legittimi? Parla il Promotore di Giustizia

Nell’esordio del “processo del secolo” celebratosi in Vaticano a carico del Cardinale Angelo Becciu, del finanziere Raffaele Mincione e di vari altri imputati, protagonisti dell’investimento della Segreteria di Stato sul “Palazzo di Londra” di Sloane Avenue, le difese avevano eccepito la radicale nullità ed illegittimità dell’intera indagine, e per conseguenza del processo, per avere il Sommo Pontefice, con ben quattro provvedimenti eccezionali (i c.d. “rescripta”), modificato per questo solo procedimento alcune fondamentali norme del codice di procedura penale dello stesso Stato Vaticano. Con quei “rescripta”, infatti, era stato consentito all’Ufficio inquirente (il Promotore di Giustizia) di adottare -solo per questo processo, dunque solo nei confronti di quegli imputati- i provvedimenti più invasivi della libertà personale degli indagati (arresti, sequestri, intercettazioni, etc.) senza alcuna autorizzazione di un Giudice, come invece previsto dal codice di rito dello Stato Vaticano.
Si trattava dunque, secondo le difese, di una violazione dei diritti di difesa senza precedenti o equivalenti in alcuno degli ordinamenti giuridici moderni, in eclatante violazione dei principi del “giusto processo” ai quali pure, nel 2013, lo Stato Vaticano aveva formalmente dichiarato di aderire.
Qui di seguito riportiamo le dotte argomentazioni con le quali l’allora Promotore di Giustizia prof. Gian Piero Milano, all’udienza del 27 luglio 2021 (pag 166 e ss), replicò a quelle eccezioni difensive, rivendicando la piena legittimità dei “rescripta”, in quanto espressione di un potere di diretta discendenza divina, e dunque insindacabile da parte dello stesso Tribunale (“Prima Sedes a nemine iudicatur”). Il Tribunale, facendo proprie le argomentazioni del Promotore di Giustizia, dichiarò la piena legittimità del procedimento, dando inizio alla istruttoria dibattimentale. (N.d.r: il testo è rigorosamente rispettoso della testualità delle parole usate dal Prof. Milano. Gli interventi correttivi sono stati di natura meramente formale, al solo fine di rendere più agevolmente leggibile la trascrizione del linguaggio parlato).
Promotore di Giustizia
P.G. Prof. Milano: «Sarò brevissimo e mi limiterò ad alcuni specifici riferimenti che riguardano questo istituto, dai confini incerti agli occhi di taluni, del “rescriptum”. Ho ascoltato con interesse tutti gli interventi (…) Dunque questo più volte evocato “rescritto” (…) è un atto che, come è la potestà nel diritto Canonico, assume multiformi contenuti e molteplici funzioni, e quindi la linea di demarcazione tra atto amministrativo di natura privata, di natura pubblica (….), atto legislativo, atto giurisdizionale, sono definizioni che vanno correlate all’ordinamento di riferimento, in particolare – come è stato già accennato – alla suprema potestà del Sommo Pontefice (…) nellasua triplicità imputata in capo ad un soggetto. Le dimostrazioni potrebbero essere molteplici, cioè non c’è una tipicità di atti provvedimentali tra i quali appunto il “rescritto”, noi parliamo di atti Pontifici parlando di “motu proprio”, di “riscritti”, di “bolle brevi”, “bolle auree”, “bolle plumbee”, “costituzioni apostoliche”; e sono tutti atti che sono accomunati – al di là dei contenuti, al di là del settore in cui si collochino dell’ordinamento, ragionando in termini civilistici – che sono espressione della Suprema Potestà. Ora se noi guardiamo a questo ordinamento e anche a questo processo con gli occhiali del giurista (richiamo una nota rubrica della giustizia civile che era curata da un maestro del diritto ecclesiastico canonico, Arturo Carlo Jemolo), è chiaro che abbiamo una visione deformata di questo ordinamento e possiamo forse attribuire dei significati che non sono affatto conformi a quelli che sono gli stilemi, direi la sintassi degli ordinamenti civili. È un fatto, ed è apprezzabilissimo che l’ordinamento ecclesiale si sia – soprattutto a partire dal 2013 – dotato di una serie di nuovi provvedimenti, che hanno assunto le forme più diverse, ma che hanno recepito i principi fondamentali del “giusto processo” (sempre con quella riserva che poi bisognerebbe andare a vedere nello specifico, quando si abbia un giusto processo e in che termini), però è indubbio che una evoluzione c’è stata e che vada accolta con attenzione e con sensibilità. Per quanto riguarda il “rescritto”, è un provvedimento che addirittura può riguardare la concessione di privilegi, di dispense e addirittura – in qualche modo – modifica altri atti che nell’ordinamento statuale avrebbero invece una rigorosa gerarchia formale. Addirittura, il Sommo Pontefice può emanare atti vive vocis oraculo, cioè a voce potremmo dire, e sono atti che hanno una loro validità e come tale deve essere considerata con gli occhiali non del giurista, ma anche del giurista – mi permetto di aggiungere – canonista. Perché? Perché è un principio, direi ormai consolidato; non dimentichiamo che tra l’altro è un principio che si riflette anche sulla struttura, l’essenza dell’ordinamento statuale Vaticano, perché la legge numero 71 al numero 1) afferma che l’Ordinamento Canonico – quindi una accezione più alta che il Diritto Canonico – è la prima fonte normativa e il primo criterio interpretativo, il principale criterio interpretativo delle leggi Vaticane. Quindi teniamo sempre presente, addirittura viene menzionato il Diritto Divino, perché poi l’Ordinamento Canonico si compone di un Diritto Divino e un Diritto Umano, quel Diritto Divino che fa da fondamento a questa plenitudo potestatìs del Pontefice. Questo lo dico perché appunto si eviti l’errore di travisare quelli che sono gli elementi essenziali dell’Ordinamento Canonico, come mi pare che ci sia rischio di fare in questa sede. Quindi specialità del Diritto Canonico ma non specialità del Diritto Processuale Canonico e Diritto Statuale Vaticano, a maggior ragione e soprattutto non specialità di questo ordinamento, di questo Tribunale come è stato evocato. Io credo che diventerebbe un Tribunale Speciale se questo Tribunale, ma lo dico con estrema deferenza, si arrogasse la prerogativa di sindacare atti che sono espressione di un potere direi sottratto a qualunque valutazione. Prima Sedes – mi pare che sia il Canone 1404 – a nemine iudicatur; e Prima Sedes si intende non una entità astratta ma – come afferma il Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali – in romanus Pontifex. Quindi io credo che questo sia un punto sul quale rimodulare, alla cui luce rimodulare tutte le interpretazioni – per quanto corrette nell’ottica civilistica o penalistica – che vengono avanzate su questo contesto, sulla dinamica che è stata seguita, sulla base appunto di un “rescritto”, un atto che ha questa forza formale, questa capacità di innovare anche l’ordinamento preesistente. Con questo credo di avere sinteticamente – spero – ricostruito quanto avvenuto».
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