A fine agosto di quest’anno Pavel Durov, giovane fondatore dell’app di messaggistica Telegram, è stato arrestato in Francia. Il Procuratore di Parigi, Laure Beccau, ha riferito che Durov sarebbe coinvolto in un’indagine avviata dall’unità di criminalità informatica sulla piattaforma Telegram, a mezzo della quale si consentirebbe la realizzazione di numerosi illeciti come la pornografia infantile, il traffico di droga, le frodi informatiche, il riciclaggio di denaro. Il fondatore, pur non direttamente coinvolto negli illeciti, vi avrebbe contribuito permettendone la indisturbata realizzazione. Gli viene inoltre contestato il rifiuto di collaborare con governi e forze dell’ordine nelle indagini e nella rimozione di contenuti potenzialmente dannosi. Sulla vicenda Telegram-Durov abbiamo intervistato Paul Le Fèvre, avvocato penalista francese iscritto al Barreau di Parigi.

Cosa rischia Pavel Durov?
Oggi Durov deve rispondere di delitti di vario tipo: quelli c.d. “tecnici”, come il rifiuto di collaborare, meno gravi, e quelli gravissimi che avrebbero commesso gli utenti di Telegram e che gli sono addebitati quale “complice”. Che per il sistema francese significa che risponde del reato come se lo avesse commesso in prima persona e dunque soggiace alla stessa pena. È bene precisare anche che l’accusa ha ritenuto sussistente per tutti i reati l’aggravante della c.d. banda organizzata, e questo ha consentito la sottoposizione di Durov ad un fermo molto lungo, di 4 giorni. Di norma il fermo è di 24 ore, prolungabile di altre 24 al massimo. Nel sistema francese non esiste neppure l’udienza di convalida, non c’è contraddittorio; Durov potrà impugnare nei successivi 6 mesi il fermo dinanzi alla Corte di Appello, e l’eventuale annullamento potrebbe, in astratto, far decadere gli atti successivi ad esso legati.

Ha parlato di “complicità” nei delitti degli utenti. Il sistema penale italiano prevede che più persone possano rispondere di uno stesso reato, ma a condizioni ben precise: occorre efficienza causale delle condotte, ma soprattutto serve il dolo, cioè coscienza e volontà di commettere l’illecito e di concorrere con altri alla sua realizzazione. Questo perché la c.d. connivenza, un atteggiamento passivo che non contribuisca né materialmente né moralmente alla realizzazione dell’illecito, non è punibile. Ci sono poi reati come l’associazione per delinquere, che non richiede il dolo per ogni singolo reato, ma che impone la prova dell’accordo criminoso tra tutti gli associati. Cosa accade invece in Francia? A che condizioni Pavel Durov può rispondere delle attività illecite degli utenti di Telegram?
In Francia la struttura della c.d. “complicità” è molto simile al concorso italiano, il che rende certamente contestabile l’accusa a Durov. Perché si risponda quale complice in Francia devono sussistere un fatto principale punibile (ad esempio, la pedopornografia) e la coscienza e volontà di concorrere a realizzarlo con altri. Nella maggior parte dei casi, quindi, si impone la prova della conoscenza, da parte del concorrente, dell’autore principale e delle sue intenzioni. Su queste basi, allora, si pretenderebbe di sostenere una complicità di Pavel Durov con tutti gli utenti di Telegram (utenti che, in astratto, dovrebbe conoscere uno ad uno!).

Quindi è un’accusa che non regge?
Messa così sì, sembrerebbe un’accusa che non sta in piedi. Però è anche vero che da 10 anni a questa parte la giurisprudenza francese ha mostrato una tendenza a valutare come dolosa anche una condotta negligente: sostanzialmente, di fronte ad una grave negligenza si assume che la persona abbia voluto che quel fatto si realizzasse, e di qui il dolo. E allora, con a mente questo orientamento giurisprudenziale, si potrebbe ipotizzare una solidità dell’accusa a Durov che “non poteva non sapere” che la piattaforma veniva strumentalizzata per commettere reati. La norma non lo consentirebbe, ma la giurisprudenza di fatto lo ammette.

Ma è compatibile con una idea liberale e democratica del diritto penale la pretesa che il gestore di una piattaforma social possa essere obbligato a collaborare e poi a rendere individuabili gli utenti dinanzi al sospetto della commissione di un reato, pena l’imputazione quale concorrente nello stesso?
Quel che mi pare totalmente incompatibile con i princìpi dello stato di diritto e soprattutto con il diritto di difesa è che il rifiuto di collaborare renda Durov complice dei suoi utenti. Questo vìola in primis il principio di legalità, che è cardine del nostro sistema: è la legge a dirci che il complice deve avere coscienza e volontà di supportare l’autore principale dell’illecito. C’è poi, credo, una violazione del principio di proporzionalità: la tutela delle libertà di comunicazione e di espressione non può che richiedere precise giustificazioni per la sua limitazione.

A quest’ultimo proposito, nel corso del procedimento l’Autorità Giudiziaria francese ha autorizzato l’inoculazione di un trojan direttamente sul server del gestore, così da intercettare le conversazioni di tutti gli utenti (quasi centomila) per poi distribuirne i risultati in tutta Europa se significativi di possibili reati. Per la gran parte dei sistemi europei, compreso quello italiano, si tratta di una forma di intercettazione preventiva di massa assolutamente inconcepibile. Cosa ne pensa?
In Francia, come in Italia, il diritto ad una corrispondenza privata è tutelato come fondamentale, e subisce limitate eccezioni. Le intercettazioni costituiscono una importante violazione della privacy ed in quanto tali devono essere sottoposte a precise condizioni, e ciò è a ancor più vero se si utilizza il trojan, strumento fortemente restrittivo e per tale ragione impiegato solo per l’accertamento di alcuni reati, come la banda organizzata. Ciò detto, non c’è dubbio che per giustificare la compressione dei diritti fondamentali dell’individuo debbano esservi una giusta motivazione, una contestazione specifica, un sospetto fondato e una modulazione dello strumento intercettivo che si basi sul principio di proporzionalità. Una intercettazione di massa di questo tipo difficilmente rispetta questi requisiti fondamentali.

Il 23 settembre Durov ha reso noto che Telegram ha effettuato dei controlli sui contenuti, rendendo non più accessibili quelli individuati come potenzialmente illeciti. Ha poi annunciato che gli indirizzi IP e i numeri di telefono di coloro che violeranno le regole della piattaforma potranno essere comunicati alle autorità competenti su richiesta di quest’ultime. Ha vinto il ricatto della contestazione a Durov del rifiuto di collaborare?
È una domanda provocatoria ma legittima: se ragioniamo sul breve periodo non possiamo che constatare che, a seguito dell’imputazione, Telegram ha cambiato repentinamente strategia e obiettivi. Potremmo dire, allora, che il ricatto ha vinto: il procedimento ha dato risultati immediati, la piattaforma ora collabora. Ma credo e confido nel fatto che sia una vittoria solo temporanea: siamo di fronte a quello che chiamiamo il détournement, lo sviamento, la deviazione dai confini di ciò che sarebbe consentito. Una contestazione strumentale di un reato (ad esempio, per consentire l’intercettazione delle comunicazioni, oppure un fermo particolarmente lungo) è un détournement, e come tale credo sarà contestato dalla difesa nel processo. Perché un procedimento fondato su queste basi non può, nel lungo periodo, sopravvivere.

Caso Durov, la scheda del processo

L’accusa: reati legati alla pornografia infantile, al traffico di droga e alle transazioni fraudolente sulla piattaforma di messaggistica Telegram.

Gli indagati:
tra gli altri, il russo Pavel Durov, fondatore e amministratore delegato di Telegram, per il suo ruolo nell’agevolazione di reati che vanno dallo scambio di materiale pedopornografico alla condivisione non consensuale di immagini intime, e per la mancata collaborazione dell’azienda nel perseguimento dei responsabili.

Le date:
2024, luglio – avvio delle indagini contro ignoti ad opera dell’unità di criminalità informatica francese;
24 agosto 2024 – arresto del miliardario Durov, fermato di ritorno dall’Azerbaijan all’aeroporto di Le Bourget, a Parigi, dalla gendarmeria aeroportuale;
24-28 agosto 2024 – quattro giorni di fermo, contestazione delle accuse preliminari e interrogatorio; fissazione di una cauzione di 5 milioni di euro;
29 agosto 2024 – rilascio di Durov a seguito del pagamento della cauzione; attualmente l’indagato si trova in stato di libertà vigilata con l’obbligo di presentarsi presso una stazione di polizia due volte alla settimana e non può lasciare la Francia in attesa del processo.

Com’è finita:
Il procedimento è ancora in corso, ma Durov ha annunciato che Telegram, contravvenendo alla politica adottata finora, consegnerà alle autorità giudiziarie gli indirizzi IP delle connessioni per risalire all’identità delle persone e i numeri di telefono degli utenti nel caso di procedimenti nei loro confronti.

Marianna Caiazza

Autore