È passato quasi un anno dalla scomparsa dei navigator. Quelle figure mitologiche che secondo la filosofia, e la pratica, grillina dovevano servire a trovare lavoro ai percettori del reddito di cittadinanza. E che finirono per sistemare solo stessi. Di Maio ne assunse 3000, dovevano durare solo due anni. Ma a ogni scadenza puntualmente venivano rinnovati. L’ultimo a firmargli una proroga fu il ministro del Lavoro Andrea Orlando, in epoca Draghi. Promettendo ai sindacati di stabilizzarli.  Poi Pd e 5stelle hanno perso le elezioni, e il governo Meloni ha mantenuto la promessa (una delle poche cui ha tenuto fede): abolire il reddito di cittadinanza e relativi navigator. Anche se il ministro Catalfo ci aveva provato a tenerli, ma la sollevazione popolare data dalla conclamata inutilità di queste figure ha avuto la meglio. Non si sono chiusi però i centri per l’impiego, carrozzoni pubblici, finanzianti con 5 miliardi dal Pnrr per le politiche attive del lavoro, che poro riescono a trovarne. Altrimenti a Taranto per esempio, prima città d’Italia per numero di lavoratori in cassa integrazione (spesso in deroga, e prorogata di anno in anno fino alla pensione) non si spiegherebbe un centro per l’impiego chiuso da mesi. Tutti sanno, i disoccupati e inoccupati soprattutto, che serve più a sbrigare pratiche burocratiche che a trovare lavoro.

Le agenzie private

Diversa è la situazione per le agenzie private. Nel 2023 a fronte di un calo degli assunti a tempo determinato pari al 7,8%, i lavoratori tramite Agenzia per il lavoro a tempo indeterminato registrano una crescita record: 8,3%. I dati sono stati resi noti dall’Osservatorio Assolavoro Datalab.  I lavoratori in somministrazione complessivamente sono scesi a 493mila (-3,6%) a fronte di quelli con un contratto stabile che raggiungono il nuovo picco storico, sfiorando quota 144mila, uno su tre. Va evidenziato che se le ore lavorate in somministrazione sono diminuite in misura quasi identica alla riduzione degli occupati totali (-3,7%), la redistribuzione media registra un piccolo segnale positivo (+0,1%). Quest’ultimo dato sembra confermare la tendenza ad una ricomposizione dell’occupazione della somministrazione verso un maggiore utilizzo di profili e professionalità più qualificate con livelli retributivi medi più elevati.

14,5 euro lordi l’ora

La retribuzione media oraria lorda nel 2023 è stata pari a 14,5 euro orari con una retribuzione media mensile lorda di 2000 euro. I dati sono stati commentati da Francesco Baroni, presidente di Assolavoro. Al contempo una ricerca dell’Università Roma Tre ha confrontato gli assunti a tempo indeterminato (o stabilizzati dopo la trasformazione da tempo determinato) tra il 2010 e il 2020 in via diretta dalle aziende (esclusa la PA) con quelli assunti a tempo indeterminato dalle agenzie; i primi superano un anno e mezzo di durata (547 giorni) nel 56,9% dei casi, mentre nel caso dei secondi la percentuale sale fino a raggiungere il 70,3%. Del restante 15% dei lavoratori che invece cessano il contratto entro l’anno il 10% rientra entro 90 giorni sempre con un rapporto a tempo indeterminato, il 4% rientra con un contratto a termine, e solo l’1% non trova una occupazione o esce dal mercato. Nel caso di cessazione da un contratto a tempo indeterminato il 70,4% dei lavoratori in somministrazione ha una nuova opportunità lavorativa sempre a tempo indeterminato entro 90 giorni, per i lavoratori con un contratto a tempo indeterminato non in somministrazione le possibilità si arrestano al 53,6%. La stessa tendenza si registra per i contratti a tempo determinato, con l’82,1% dei lavoratori in somministrazione che entro 90 giorni dalla scadenza del contratto ha una nuova opportunità lavorativa, rispetto ai lavoratori con un contratto a termine non in somministrazione le cui possibilità si fermano al 65%.

Il lavoro sommerso e irregolare

Il rapporto di Datalab e Assolavoro, l’associazione che aggrega e rappresenta oltre 1’85% del settore, si sofferma anche sul lavoro nero, fenomeno allarmante in ragione dell’enorme numero di persone che continuano ad essere coinvolte con un dato nel 2021 pari 2,85 milioni di occupati non regolari (pari al 11,3% degli occupati), contro gli oltre 2,99 milioni di occupati irregolari del 2020 (quando l’incidenza era del 12%). In termini di unità di lavoro (Ula o Full Time Equivalent) si tratta invece di quasi 3 milioni di unità nel 2021 con un tasso di irregolarità, calcolato come incidenza percentuale delle Ula non regolari sul totale pari al 12,7% (sceso dal 13,6% del 2020). Il lavoro sommerso e irregolare è concentrato nei servizi non solo rispetto all’incidenza sulle unità di lavoro di ciascun settore, ma anche in termini di volume di occupazione irregolare. Il macro aggregato dei servizi rappresentava nel 2021 il 76,8% del lavoro nero o irregolare italiano. Il rapporto sottolinea come la presenza delle agenzie per il lavoro rappresenta un baluardo contro il lavoro irregolare e sottotutelato. Nelle regioni dove la presenza delle agenzie è più diffusa (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia) il tasso di irregolarità è più basso, mentre i territori che registrano una maggiore diffusione del lavoro sottotutelato e irregolare (Calabria, Campania, Sicilia) sono anche quelle dove meno operano le agenzie.
Durante il governo Draghi il ministro Brunetta propose di aprire i programmi ministeriali di politiche attive del lavoro anche alle agenzie private. Nella sua idea, quando a fronte dei 20 miliardi spesi per il reddito di cittadinanza, si iniziava a ipotizzare di abolirlo, l’idea era quella di consentire ai percettori di potersi rivolgere liberamente ai centri per l’impiego o alle agenzie. Poi però non se ne è fatto più niente. Come per la privatizzazione dei servizi pubblici locali però, guardando i costi, l’efficienza, e i risultati ottenuti, aprire i due servizi in concorrenza aiuterebbe a raggiungere lo scopo. Che in questo caso è inserire gli inoccupati nel mondo del lavoro.