Cinquant’anni fa la Milano delle grandi fabbriche era scossa da una stagione di scioperi e manifestazioni. C’era una Milano operaia che incrociava le braccia per il rinnovo di un contratto nazionale: la grande metropoli del nord che aveva attratto e accolto centinaia di migliaia di lavoratori da ogni parte d’Italia, creando interi quartieri , viveva una sua mutazione e pativa politiche ingessate ed economie destinate a non essere più adeguate.

In mezzo secolo la città ha cambiato pelle cento volte, sempre proiettata in avanti, ma oggi si ritrova a dove ancora rivendicare la necessità di affrontare il lavoro concentrandosi su di sè, sulle sue specificità. Se allora c’era da reinterpretare un corso collettivo, oggi c’è da prendere atto di una metropoli che ha perso e perde coesione e la può recuperare solo coltivando la propria autonomia: il lavoro ha bisogno di dinamiche e contratti specifici per il territorio, di welfare che garantisca il “mercato delle opportunità”, di patti sociali che capitalizzino la modernità per distribuirne gli effetti. Milano è un continuo progetto civico, economico, umano, di cui lavoro povero ed esclusione non possono far parte.