Ambrogio
Milano, una città a due velocità dove il lavoro crea disuguaglianza. Tra professioni freelance e retribuzioni inadeguate

Milano incarna oggi un paradosso che riguarda molte metropoli avanzate: il suo sviluppo dinamico ha prodotto non solo ricchezza, ma anche fratture evidenti. Da un lato troviamo lavoratori ad alta qualificazione, produttività e reddito, impiegati nei settori più avanzati dell’economia della conoscenza – le imprese nel settore culturale e creativo a Milano sono l’8%, rispetto al 4.5% della media italiana – della finanza, tecnologia, moda e design. Dall’altro, ci sono i lavoratori ‘ai margini’, periferici non solo in senso geografico, ma anche socio-economico: lavoratori precari nei settori dei servizi a bassa produttività e scarsa retribuzione, dove la qualità del lavoro è spesso sacrificata per esigenze di flessibilità e riduzione dei costi. Tuttavia, anche nei settori avanzati e tra i lavoratori qualificati si osserva il fenomeno dell’insicurezza lavorativa e instabilità contrattuale. Professionisti che si trovano a confrontarsi con collaborazioni freelance e retribuzioni che non riflettono le loro competenze né i costi della vita a Milano.
Le cause
Questa polarizzazione è acuita dall’erosione del lavoro mediamente qualificato, tipico della classe media, accelerata dalla digitalizzazione e dall’automazione, che hanno ridotto la domanda di competenze intermedie. Parallelamente, la crescita di settori come la logistica e la ristorazione ha creato una moltitudine di impieghi poco tutelati e poco pagati, ma in servizi essenziali per la vita economica e sociale. La polarizzazione non riguarda solo il mercato del lavoro ma si riflette nella distribuzione spaziale della città: il centro, rigenerato e attrattivo, si contrappone alle periferie, spesso intrappolate in un circolo vizioso di marginalizzazione e mancanza di opportunità.
Lo studio e il paragone
In un recente studio che abbiamo condotto presso il dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Milano-Bicocca, il progetto CITILab, finanziato da Fondazione Cariplo, abbiamo confrontato le politiche del lavoro e di inclusione a Milano e Amsterdam. Da questo emerge chiaramente come la capacità delle città di essere inclusive non dipende solo dalla crescita economica, ma anche dalla qualità delle politiche pubbliche e dal loro radicamento nelle esigenze dei diversi contesti urbani e sociali. Milano rischia di trasformarsi sempre più in una città duale, dove convivono una minoranza ad alta capitalizzazione economica e culturale e una maggioranza relegata nel lavoro povero. Disuguaglianze così marcate minano la coesione sociale e alimentano tensioni latenti.
Il 13% dei giovani tra i 15 e i 29 anni non lavora e non studia
Una Milano più equa richiede interventi complementari tra loro, su diversi fronti. È necessario investire nella formazione e riqualificazione dei lavoratori, per consentire loro di accedere ai settori più dinamici dell’economia, e includere chi è stato espulso o è rimasto fuori dal mercato del lavoro, ad esempio a Milano il 13% dei giovani tra i 15-29 anni non lavora e non studia. Poi occorre consolidare le tutele, promuovere salari dignitosi anche nei settori tradizionalmente deboli e rafforzare il sostegno pubblico nelle fasi di transizioni della vita, come la maternità (si pensi che a Milano solo il 22% dei bambini 0-2 anni usufruisce di servizi per l’infanzia comunali), con attenzione ai gruppi più vulnerabili e i soggetti che cumulano molteplici fattori di svantaggio. Queste politiche però da sole non bastano, vanno accompagnate da politiche urbane di rigenerazione delle periferie, perché intervenire sulle disparità nei contesti più fragili non è una questione rimandabile.
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