I tempi sono quel che sono e l’immagine del detenuto è quel che è. Ma per quali motivi di alta sicurezza Cesare Battisti deve stare a Oristano, quando la sua destinazione era Rebibbia e le sue condanne definitive sono avvenute a Milano? Non c’è anche qualche violazione dei diritti della difesa nel tenere l’assistito a un migliaio di chilometri dal sua difensore di fiducia? E non c’è qualcosa di disumano nel costringere i suoi unici parenti, che vivono nel grossetano, a dissanguarsi per i soggiorni sardi? L’avvocato Steccanella non lo dice, ma possiamo farlo noi: o si decide che in Italia esiste una sorta di Guantanamo o Cesare Battisti deve esser tirato fuori da quel buco nero dove è sepolto da più di un anno. Sono due le richieste che il suo legale ha avanzato nei giorni scorsi al giudice di sorveglianza e al Dap: la declassificazione che porti il detenuto a un regime di normalità, e il trasferimento al Carcere di Opera o di Rebibbia.

Cioè dove avrebbe dovuto andare, secondo quanto scritto dalla polizia al suo avvocato fin da quando, alle 12,38 del 14 gennaio di un anno fa fu fatto sbarcare all’aeroporto di Ciampino in arrivo dalla Bolivia e portato nei locali del trentunesimo Stormo dell’aeronautica militare e preso in custodia dalla polizia penitenziaria di Rebibbia. «E lì associato», scriveva il funzionario di ps. Che cosa è successo da quel momento e mentre il ministro Bonafede viveva la sua “giornata indimenticabile” esibendo lo scalpo di Cesare Battisti? Chi ha deciso improvvisamente il trasferimento del detenuto da Roma a Oristano?

Tra l’altro, a parte i sei mesi di isolamento, ormai scontati, decisi dalla corte d’assise d’appello di Milano in esecuzione di pena, questo ergastolano “non soggiace a regime diverso da quello ordinario, per il principio di irretroattività”, scrivono i magistrati. Quindi non è sottoposto al regime ostativo dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario e neanche a quello del 41 bis. Però il Dap gli ha attribuito la classificazione Alta Sicurezza 2, in quanto terrorista. Ma terrorista di ieri ( il suo ultimo delitto risale al 19 aprile 1979, 41 anni fa) o terrorista di oggi? In ogni caso, resta il fatto che un detenuto classificato AS2 può incontrarsi solo con i suoi omologhi e che a Oristano non ce ne sono, e che quindi questo ergastolano sta vivendo un isolamento illegittimo. Di fatto, ma pur sempre illegittimo. La nuova dirigenza del Dap ha qualcosa da dire? E il giudice di sorveglianza?

Prima di ricordare chi era Cesare Battisti ieri, vediamo chi è oggi. Ascoltiamo per prime le parole dei giudici. Per esempio quelle emerse dalla camera di consiglio dei magistrati di sorveglianza del 26 novembre 2019. Il detenuto, si dice, “ha dato prova di partecipare all’opera di rieducazione” e ha tenuto ”condotta regolare”. Per questo motivo gli sono stati riconosciuti i 45 giorni di riduzione di pena, per i primi sei mesi di detenzione, agli effetti della liberazione anticipata. Dopo queste parole, si può ancora ritenere attuale la pericolosità della persona, o la si deve ancorare per sempre a quel che è accaduto 40 anni prima?

Anche la collaborazione spontanea con la magistratura (certo, tardiva, dopo 38 anni di latitanza) andrebbe presa in considerazione. Soprattutto se pensiamo che dei suoi sessanta coimputati nessuno è stato condannato all’ergastolo e sono ormai tutti liberi, in coincidenza anche con un bell’esercito di mafiosi assassini e “pentiti”. La confessione a Cesare Battisti è anche costata in termini di isolamento politico. Non tanto da parte degli intellettuali francesi che lo hanno sempre sostenuto, ma in terra italiana. Lo ha difeso solo Arrigo Cavallina, che aveva dieci anni più di lui, quando si erano conosciuti nel carcere di Udine e Battisti era un giovane rapinatore di famiglia comunista e con brevi passaggi nella Fgci e in Lotta Continua, e che lo aveva condotto per mano nei Pac, i proletari armati per il comunismo. In un libro recente Cavallina ha ricordato che fin dal 1981 il suo compagno Cesare era molto critico nei confronti della lotta armata.

Sono lontanissimi quei tempi, e chissà quanti di quegli ex terroristi amano ancora il termine “compagni”. Pure, Cesare Battisti ha sentito il bisogno di scrivere quella lettera aperta a chi lo criticava. Lui vuole uscire da un vestito che da tempo non è più il suo, quello del “mito Battisti” che, dice, “è stato costruito per abbatterlo”. Un buon mito sventolato anche dai compagni. “E succede che, poco importa che quel mito sia fatto di carne e ossa, che non ne possa più di essere martirizzato…un martire da agitare, secondo i gusti, da un lato o dall’altro della barricata”. Non può che concludere con “un abbraccio a chi lo vuole”, sapendo che non saranno in molti a volerlo. Questo è oggi Cesare Battisti. Consentiamogli di uscire da quel “mito”, più negativo che positivo, e di diventare un ergastolano normale in un carcere normale. Si chiede troppo?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.