Il ministro della giustizia
Ritratto di Alfonso Bonafede, ex Dj che vale meno di uno e ama le manette
Dice: «Ma me lo faresti un bel ritratto di Foffo il dj?». Sarebbe? «Bonafede. Alfonso. Detto Foffo». È un ministro vero? «Della Giustizia». E certo. Di che altro sennò? È la nuova classe dirigente di un mondo al contrario come nei casi già riscontrati di Gulliver e di Alice davanti e dietro lo specchio. Bisogna, per comprendere, mettere in fila i vecchi parametri della politica e poi guardarli col binocolo rovesciato, come Petrolini raccomandava di fare a chi volesse catturare balene: «Appena avvistata la balena, la rimpicciolisci col binocolo rovesciato, a questo punto la prendi col cucchiaino e la metti nella bacinella». È una nuova logica per una nuova era, non dimentichiamolo.
Abbiamo una pestilenza e, per non farci mancare niente, abbiamo anche un garrulo ministro di Giustizia di tipo nuovo, per di più divertente, se preso in dosi omeopatiche. Mi sono messo d’impegno, l’ho studiato, ho guardato i video e ho sperimentato quella straniante sensazione di tenerezza che si prova solo davanti ai bambini molto piccoli, ai cuccioli molto maldestri e ai ministri per caso. Solo l’Italia può vantarsi oggi – di fronte al mond’intero – d’avere ministri casuali per il principio di uno vale uno ma anche molto meno, per risparmiare. Tutte le persone senza qualità, come l’eroe di Musil (che in realtà era “senza caratteristiche”) alla fine suscitano tenerezza, che è un sentimento indotto cautelativamente agli adulti da madre natura affinché non prendano a calci in culo botoli e pupattoli, ma anzi li trastullino. Bonafede è un perfetto cucciolo. Sperduto senza collare, bruttino, peloso a chiazze, politicamente inquietante, si suppone non abbia ancora l’antirabbica, ma è tuttavia giocoso, adolescente, direi una disgrazia per un Paese, ma – come dicono i romani – a chi tocca nun s’ingrugna, ciò se ti è capitato te lo tieni. È però un dj confesso e dunque partiamo da lì.
Ha recitato a richiesta di fronte al pubblico il suo personaggio da discoteca, un po’ buttafuori e l’annuncia-dentro. Lo fa benissimo davanti ai microfoni e telecamere ed è commovente. Su richiesta, dice: «Ed ecco a voi». Pausa. Poi, con cuspide verso l’alto «Beppeeee». Altra pausa. Poi, a cuspide scendente: «Grillooooo». Gliel’anno fatto fare e lui battendo le manine l’ha fatto, intortato dalla banda di Un giorno da pecora che lo fa cantare, ballare, sputtanare, fare l’imitazione del guitto provinciale da balera. E lui la fa. Un pupo. È buono. Politicamente parlando non capisce un cazzo e non l’ha mai capito. Ma ha anche lui la fortuna di Gastone Paperone ed ecco che si ritrova sulla cadrega da ministro a fare tutto ciò che non capisce perfettamente. Come negargli l’aggravante della buona fede?
Inoltre, è di coccio. Non trasmette altro sentimento che una superficialità primaria, elementare. Pensate a me, che in questo momento sto soffrendo le pene dell’inferno perché detesto ciò che gli viene fatto fare, per la sua subordinazione sintonica con le procure a manetta, per le sue dichiarazioni involontariamente liberticide, ma al tempo stesso ne ho pena, la pena protettiva degli adulti di fronte ai cuccioli sgraziati e i bambini maldestri. Involontarie, dico, perché non so immaginare questo Bonafede in malafede dal momento che il ministro ha potuto, anzi ha voluto certificare in pubblico il fatto che non capisse nulla di diritto. E pensate: è stata proprio la sua mancanza fondamentale di cultura giuridica, ad averci portato Giuseppe Conte come primo ministro.
L’ignoranza è certificata dalla nota gaffe sulla differenza fra reato doloso e colposo. Disse, Bonafede, che quando non è possibile dimostrare che un reato è doloso, allora il reato diventa doloso. Esca immediatamente da questa Repubblica, avrebbe potuto intimargli chi ne ha l’autorità e anzi il dovere. Ma non lo cacciò nessuno. Però, proprio il fatto di essere ignaro in materia di diritto, ha costituito un elemento di causalità nella disgrazia della Repubblica. Egli infatti chiese di frequentare e fu accolto nello studio del professor avvocato Giuseppe Conte. Conte è una persona ridondante e logorroica ma non priva di cuore, sicché a suo modo si affezionò a Bonafede il quale, creatura elementare, rispose con un controtransfert freudiano e ne nacque così un legame para-terapeutico tale che, quando i pentastellati si fecero governativi, produsse il prodigio che ancora ci minaccia.
E cioè, Bonafede disse a Di Maio guarda che conosco uno che farebbe proprio al caso nostro e che è molto amico mio, Di Maio disse dài me lo presenti, Bonafede lo presentò a lui e poi anche a Salvini, Salvini disse piace pure a me e vedrai che faremo insieme una squadra bellissima, Di Maio disse dài andiamo al Quirinale, Mattarella disse e questo chi è, Di Maio disse questo è il professor Giuseppe Conte che è molto amico di Alfonso Bonafede, allora Mattarella disse e chi è Alfonso Bonafede, allora Di Maio disse è amico mio ma a questo punto è amico credo anche di Salvini, Salvini disse forse amico è un po’ troppo.
Poi Carlo Cottarelli che era già arrivato dall’estero parlando inglese per essere Prime Minister dovette ridiscendere con il trolley la rampa che aveva affrontato in salita e allora Mattarella fece una battuta pesantissima sul curriculum di Conte per la storia delle lezioni d’inglese alla New York University e disse a Di Maio spero che non mi stai dando una fregatura e Di Maio disse ci mancherebbe, guardi che Conte me l’ha presentato Bonafede che lo conosce bene e il Presidente disse Bonafede chi? e Di Maio disse Alfonso e anzi noi lo si vorrebbe ministro di Giustizia e anche Salvini era contento, erano tutti contenti e l’Italia ebbe la grande svolta in curva che l’ha portata fuori strada fino allo Square One, il quadretto Numero Uno del gioco dell’Oca, che sarebbe, fuori di metafora, la democrazia parlamentare in cui l’ex dj Alfonso detto Foffo Bonafede è oggi Guardasigilli: sigilli che lui effettivamente guarda e controlla ogni notte anche con la torcia del telefonino per essere sicuro che nessuno evada, nessuno faccia tumulti, si rispetti l’intransigenza, si parta dal principio che chiunque è colpevole finché non è provata la sua innocenza e che però anche se fosse provata, tale innocenza deve essere posta in quarantena perenne di una giustizia sia cieca che occhiuta, che stranamente piace molto alle sinistre anche quelle non manettare perché nessuno ha da ridire niente, e tutto va bene dalle epidemie alle carceri passando per le intercettazioni senza fine.
Perché signore e signori questo è il girone dantesco che si corre quest’anno in assenza del Giro d’Italia sospeso per pandemia mentre la democrazia è intubata e prona per posizione terapeutica consigliata in terapia intensiva, anche se nessuno si ricorda più chi cazzo era il paziente numero uno, se fu Bonafede ad andare da Conte, Conte da Salvini, Salvini da Di Maio e per oggi la chiudiamo qui per un principio di difficoltà respiratoria.
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