Ha scelto di collaborare con la giustizia dopo 26 anni di carcere duro. Francesco Schiavone, detto Sandokan per la somiglianza, all’epoca, con l’attore Kabir Bedi, il 3 marzo scorso ha compiuto 70 anni. Da qualche tempo starebbe lottando contro un cancro e nelle scorse settimane è stato trasferito dal carcere di massima sicurezza di Parma a quello de L’Aquila per avere la possibilità di curarsi nell’ospedale San Salvatore, lo stesso che nei mesi scorsi ha ospitato come paziente Matteo Messina Denaro, stroncato da un tumore al colon nel settembre del 2023, nove mesi dopo l’arresto che pose fine ad una fuga durata 30 anni.

Schiavone è considerato il capo del clan dei Casalesi insieme a Francesco Bidognetti, Antonio Iovine e Michele Zagaria. Nato a Casal di Principe, è in carcere dall’11 luglio del 1998 dopo l’arresto in un bunker di un’abitazione nel centro del piccolo comune casertano insieme alla moglie e a una delle due figlie concepite durante la latitanza. Schiavone, condannato a scontare diversi ergastoli, è sposato con Giuseppina Nappa ed ha sette figli. I primi due, Nicola e Walter Schiavone, hanno iniziato a collaborare con la giustizia nel 2019 e nel 2021. Poi ci sono Carmine, Ivanhoe (ispirato al cavaliera medievale del romanzo di Walter Scott), Emanuele Libero (perché concepito durante un permesso premio negli anni ’90) e infine Angelica e Chiara, nate durante la latitanza del superboss.

Schiavone collabora con la giustizia: cosa può dire

Adesso Schiavone sta già parlando con i magistrati della Direzione Nazionale Antimafia guidata da Giovanni Melillo e dalla Direzione Distrettuale Antimafia della procura di Napoli guidata da Nicola Gratteri. I suoi stretti familiari sono stati trasferiti nelle scorse settimane da Casal di Principe in località protette e saranno decisivi i prossimi mesi per valutare il peso dei racconti che ‘Sandokan’ farà ai magistrati. Già in passato il boss alleato Antonio Iovine, detto ‘o ninno, intraprese lo stesso percorso Schiavone ma la sua collaborazione non ha fornito particolari decisivi sulla holding criminale messa in piedi dai Casalesi: dalla cassa del clan ai reinvestimenti nel centro e nord Italia e all’estero, ai legami politici (c’è l’ex sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino che sta scontando condanna a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa). Nei prossimi mesi verrà cristallizzatala qualità delle informazioni fornite da Schiavone, chiamato a far luce anche su un lunga serie di omicidi irrisolti. Non è da escludere che la decisione di collaborare con la giustizia è da collegare alla malattia contro la quale il boss sta combattendo da anni e alla possibilità, concessa dallo Stato, di ottenere un regime detentivo non ostativo solo in caso di pentimento.

La carriera criminale: dalla morte sospetta di Bardellino alla camorra del cemento e dei rifiuti

Schiavone viene arrestato per la prima volta a 18 anni per detenzione di armi. Negli anni ’80 entra a far parte della “Nuova Famiglia” di Antonio Bardellino e Mario Iovine, in lotta con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Dopo l’omicidio, o presunto tale, di Bardellino, ucciso in Brasile nel 1988 in circostanze ancora oggi non chiare perché il cadavere non è mai stato ritrovato, diventa leader del clan, avviando l’espansione e l’infiltrazione dei “Casalesi” nel mondo dell’imprenditoria e della politica locale, con forti interessi nel settore del traffico illecito di rifiuti. Il secondo arresto avvenne in Francia, a Nizza, nel 1989, quando Schiavone era già ritenuto ai vertici dei Casalesi insieme a Iovine e Bidognetti. Scarcerato per decorrenza dei termini dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere in attesa dell’estradizione, Sandokan riprese la guida del clan dall’estero. Tornato in Italia, nel 1990 viene arrestato in un blitz a casa dell’allora vicesindaco di Casal di Principe. È tra gli imputati del maxi processo Spartacus, originato dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Napoli sul clan dei Casalesi nate grazie alla collaborazione con la giustizia del cugino Carmine Schiavone e concluso con la condanna all’ergastolo per lui e per altri boss come Francesco Bidognetti e gli allora latitanti Antonio Iovine e Michele Zagaria.

Fu proprio Carmine Schiavone a rivelare la pericolosità di quella che oggi è chiamata la Terra dei Fuochi, zona compresa tra la provincia di Napoli e di Caserta dopo per decenni i Casalesi hanno sotterrato rifiuti pericolosi provenienti da tutta Italia e non solo. Nella zona nel corso degli anni è stata riscontrata una impennata di tumori.

L’arresto nel bunker

L’ultimo arresto risale all’11 luglio 1998 dopo cinque anni di latitanza. Giorno in cui finisce la sua latitanza in un bunker (così come venne scovato Zagaria) del suo paese natale: alle 23 della sera precedente una squadra di Poliziotti, Carabinieri e Agenti della Direzione Investigativa Antimafia fecero irruzione in un appartamento di via Salerno che era stato tenuto sotto controllo per una settimana, ma il boss si riuscì a stanare solo la mattina seguente dopo 13 ore di demolizioni quando, oramai consapevole di non avere più scampo, da un bunker sotterraneo Sandokan sbucò con in braccio una delle figlie; lì sotto oltre alla figlia piccola c’erano anche sua moglie Giuseppina Nappa e il cugino Mario. Nel bunker furono ritrovati due fucili, diversi dipinti realizzati da Schiavone stesso oltre a una Bibbia e a diverse opere sulla storia del Regno delle due Sicilie, su Napoleone Bonaparte e su Benito Mussolini. Al giudice che lo interrogò il giorno seguente disse di essere innocente, di essere stato perseguitato da una certa politica, di non essere un camorrista e che i pentiti raccontavano falsità per ottenere stipendio e protezione. Per i reati di camorra da lui commessi, venne subito sottoposto al regime carcerario speciale previsto dall’art. 41 bis della legge sull’ordinamento penitenziario.

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Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.