Arrestato dopo 30 anni di latitanza, iniziata nel lontano 1993. Il boss Matteo Messina Denaro, ritenuto l’ultimo ‘Padrino’ di Cosa Nostra, è stata arrestato questa mattina, 16 gennaio 2023, dai carabinieri del Ros, del Gis e dei comandi territoriali della Regione Sicilia.

Il blitz è scattato, nell’ambito delle indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Palermo, all’interno di una struttura sanitaria del capoluogo siciliano, la clinica specialistica ‘La Maddalena’ dove il boss si era recato “per sottoporsi a terapie cliniche”, ha spiegato il generale di divisione Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros.

A 30 anni dal blitz con cui i carabinieri del Ros riuscirono ad arrestare il capo dei capi, Totò Riina, anche l’ultimo ‘Padrino’ della mafia finisce così nelle mani dello Stato.

Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano (Tp) Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, il 60enne era latitante dall’estate del 1993. Latitanza che Messina Denaro annunciò di fatto con una lettera inviata alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze.

Sentirai parlare di me – le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue – mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità”.

Su di lui pendono diverse condanne all’ergastolo, a partire dalle stragi del 1992 costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, agli attentati del 1993 a Milano, Roma e Firenze. Ergastolo comminato all’ormai ex superlatitante anche per il brutale omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo. Il 13enne venne sequestrato nel novembre 1993 per costringere il padre Santino a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci; dopo 779 giorni di prigionia, il bambino venne strangolato e il cadavere sciolto nell’acido da Giovanni Brusca.

Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni. Proprio dopo gli arresti di Riina, dei fratelli Graviano e di Provenzano (ultimo grande boss a finire in manette nel 2006), Messina Denaro aveva allargato il suo potere ad altri mandamenti mafiosi della Sicilia, diventandone di fatto leader indiscusso.

Le prime indagini su Messina Denaro furono avviate nel 1989, venne denunciato per associazione mafiosa grazie alle inchieste su di lui portate avanti da un commissario di polizia di Castelvetrano, Rino Germanà.

Per questo il boss decise di ucciderlo: il  14 settembre del 1992 lui, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano intercettarono Germanà sul lungomare di Mazara del Vallo e iniziarono a sparargli. Il commissario rispose al fuoco, uscì dalla macchina e si salvò gettandosi in mare inseguito da Bagarella, la cui arma si inceppò.

Dopo quell’attentato Messina Denaro divenne ufficialmente latitante e fu visto in pubblico l’ultima volta nel 1993 a Forte dei Marmi, mentre era in vacanza assieme ai fratelli Graviano. In quel momento era già il capo di Cosa Nostra per la provincia di Trapani, dove gestiva il racket delle estorsioni, lo smaltimento illegale dei rifiuti, il riciclaggio di denaro e il traffico di droga.

Come detto, fu  tra i boss di Cosa Nostra che decise di organizzare gli attentati compiuti a Roma, Milano e Firenze tra il 1992 e il 1993, in cui morirono i giudici Falcone e Borsellino. Per questo fu condannato all’ergastolo come mandante.

Sempre Matteo Messina Denaro ordinò l’uccisione di Antonella Bonomo, fidanzata (incinta di tre mesi) di Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo molto critico nei confronti dei corleonesi, a sua volta fatto uccidere da Totò Riina.

(in aggiornamento)

Redazione

Autore