Arrestato all’interno della clinica privata La Maddalena di Palermo dove si sarebbe recato per sottoporsi a delle cure mediche, l’ormai ex latitante più ricercato d’Italia – e uno dei più ricercati al mondo – Matteo Messina Denaro, è stato catturato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza. Per interi decenni ha visto il cerchio stringersi attorno a sé. Messina Denaro da tempo non è più il capo di Cosa nostra, ma ne è uno dei più fulgidi esempi di ‘boss’ che non si è mai piegato alla giustizia e non è mai riuscito a farsi catturare.

Ha rappresentato Cosa Nostra per diritto di successione: il padre Francesco (Don Ciccio), concluse la sua latitanza iniziata nell’ottobre del 1990 con la propria morte naturale. Alle undici di sera del 30 novembre 1998, il fratello della moglie, andò dalla polizia a segnalarne il ritrovamento del cadavere nelle campagne tra Mazara del Vallo e Castelvetrano. Don Ciccio Messina Denaro aveva le mani giunte, il vestito scuro, i mocassini quasi nuovi. “Sulu mortu lu putistivu pigghiari”, aveva urlato la moglie Lorenza Santangelo.

Il padre di Matteo sarebbe diventato capomafia della provincia di Trapani a ridosso degli anni ’80. “In una cantina dei cugini Ignazio e Nino Salvo, durante una riunione – racconta il pentito marsalese Antonino Patti – Francesco Messina Denaro venne eletto capo provinciale”. Negli anni precedenti, il capo era stato invece Nicola Buccellato di Castellammare, che però era finito in carcere ed era stato “posato” nel 1983. Nella sua latitanza, durata otto anni, Don Ciccio Messina Denaro era stato accusato di vari omicidi, con diverse condanne (tra le quali un ergastolo nel 1997), oltre alle sospette responsabilità nelle stragi di Milano, Firenze e Roma.

La caratura criminale di Matteo Messina Denaro ha ampliamente sorpassato quella del padre: condannato a diversi ergastoli per svariati omicidi, la sua latitanza è cominciata dopo una vacanza dorata a Forte dei Marmi nel 1993, e si è conclusa solo oggi, tra voci di coperture istituzionali e un largo consenso locale che lo hanno accompagnato durante questi 30 anni. A costruirne il prestigio mafioso furono le stragi, quelle che per il padre erano solo sospetti, per lui si sono trasformate in ergastoli e consacrazione di Cosa Nostra.

Fondamentale, come per molte organizzazioni criminali, è la forza che deriva dai legami di sangue. Prima di iniziare la latitanza nel giugno del 1993, Messina Denaro ha una relazione con una donna di Mazara, Sonia M.. A lei scriverà che dovrà allontanarsi e che non potrà spiegare quella scelta.

Durante la latitanza Messina Denaro ha una relazione stabile con Franca Alagna, la donna che il 17 dicembre del 1995 ha dato alla luce la figlia del boss, Lorenza Alagna, che porta il cognome della madre Francesca e il nome della nonna paterna, il 14 luglio del 2021 ha partorito un bambino, avuto col suo compagno. Il bimbo non si chiama come il nonno Matteo. Lorenza ha 26 anni e da tempo ha lasciato la casa della nonna paterna a Castelvetrano, in cui viveva con la madre, scegliendo di vivere libera senza dover trascinare il peso del cognome del padre che però non ha in alcun modo ripudiato e che, secondo gli investigatori, non avrebbe mai visto: “Quanto vorrei l’affetto di una persona e purtroppo questa persona non è presente al mio fianco e non sarà mai presente per colpa del destino… ” aveva scritto su Facebook Lorenza che conduce una vita come tutte le ragazze della sua età dopo il diploma al liceo scientifico e il tentativo di raggiungere la laurea. Anni fa, al Tg 2, dietro le serrande abbassate della sua abitazione aveva detto: “Non voglio rilasciare interviste, non voglio stare sotto i riflettori. Basta. Io sono una ragazza normalissima come tutte le altre. Voglio essere lasciata in pace. Dovete fare finta che io non esisto”.

Dopo essere diventato padre, Matteo Messina Denaro, nel 1996, ha un’altra relazione con una donna palermitana, Maria Mesi, sorella della segretaria di Michele Aiello, il re della sanità e delle cliniche siciliane e prestanome di Bernardo Provenzano. La ragazza è più giovane di tre anni e gli invia lettere, gli regala profumi e i videogiochi di ultima generazione. Si incontrano in un appartamento alla periferia di Palermo e in una villetta a Bagheria. Infine, secondo quanto riportato in uno degli ultimi avvistamenti prima dell’arresto, Messina Denaro si trovava nel 2003 a Valencia, in Venezuela. Alcuni lo raccontano in compagnia di una donna, bellissima, straniera e silenziosa.

La cosca di Castelvetrano ha sempre trovato – come in molti altri casi – la sua forza nelle relazioni di parentela: Salvatore Messina Denaro è il fratello di Matteo. Fu arrestato per la prima volta nel 1998 (operazione “Progetto Belice”), insieme ad altre 24 persone. In quel periodo lavorava alla Banca Commerciale Italiana di Sciacca, mentre fino al 1991 aveva lavorato come funzionario alla Banca Sicula di Castelvetrano. Nel 2004 fu condannato definitivamente a 9 anni per “associazione per delinquere di stampo mafioso pluriaggravata, danneggiamento seguito da incendio aggravato in concorso e tentato incendio pluriaggravato in concorso”.  Avrebbe eseguito gli ordini del fratello, veicolando i “pizzini” ai mafiosi. E per questo è stato arrestato nuovamente nel marzo del 2010. Nel novembre del 2013 è stato condannato in via definitiva a 7 anni per associazione mafiosa. Il 2 Marzo scorso ha lasciato la casa di lavoro di Tolmezzo dove in regime di 41 bis stava scontando la misura di sicurezza, appunto, dell’assegnazione ad una casa di lavoro.

Anna Patrizia Messina Denaro è una delle sorelle. È stata condannata in appello a 14 anni e sei mesi. Nell’operazione Eden del 2013 finì in carcere anche per aver dimostrato di avere la possibilità di incontrare fisicamente il fratello, del quale avrebbe gestito i rapporti con l’organizzazione mafiosa, in assenza del marito Vincenzo Panicola, in carcere per mafia dal 2010 (operazione “Golem 2”).

Vincenzo Panicola. Cognato, per aver sposato Anna Patrizia. Figlio del defunto patriarca mafioso ed ex consigliere provinciale della Dc Vito Panicola. Era uno dei principali collegamenti tra l’allora superlatitante ed il resto dell’organizzazione, prima di finire in carcere nel 2010. Nel 2011, l’ex re dei supermercati Giuseppe Grigoli aveva detto di essere stato vittima del sistema estorsivo di Matteo Messina Denaro. E dato che nell’ambiente carcerario in molti avevano sospettato un possibile “pentimento”, a fine aprile del 2013 Vincenzo Panicola, per capire se davvero le dichiarazioni di Grigoli fossero state autorizzate dal capomafia di Castelvetrano, aveva chiesto alla moglie di accertare presso il vertice come stessero davvero le cose. Risposta che arrivò in tempi record, lasciando ipotizzare che Patrizia Messina Denaro (arrestata poi nel dicembre successivo) potesse aver incontrato fisicamente il fratello capomafia.

Gaspare Como. Anche lui cognato per aver sposato l’altra sorella Bice Maria. Fu arrestato nell’aprile del 1998 (operazione “Terra bruciata”) e condannato a 10 anni di reclusione. Arrestato nuovamente nel 2015 per intestazione fittizia di beni, fu invece assolto perché “il fatto non sussiste”.

Rosario Allegra. Cognato per aver sposato Giovanna Messina Denaro. Ex presidente regionale della Cna, ex assessore all’agricoltura e all’artigianato al comune di Castelvetrano, nel luglio del 1992 fu arrestato per istigazione alla corruzione in una vicenda di cooperative fantasma che ricevevano dalla regione parecchi finanziamenti. Nell’aprile del 1998 finì di nuovo in carcere (operazione “terra bruciata”), insieme ad altre 15 persone con l’accusa di essere stato “il referente dell’organizzazione sia per il controllo dell’estrazione degli inerti, che per l’attività estorsiva”, ricevendo una condanna nel marzo del 2000 ad 11 anni di reclusione da parte del Tribunale di Marsala.

Filippo Guttadauro. Cognato per aver sposato Rosalia Messina Denaro. Fu arrestato nel marzo del 1994 e condannato per associazione mafiosa. Poi fu arrestato di nuovo nel luglio del 2006 e condannato in Appello a 14 anni: l’aggravante di essere il capo della cosca di Castelvetrano era caduta e i 18 anni del primo grado non vennero riconfermati. Il suo pseudonimo nei pizzini tra Matteo Messina Denaro e Bernardo Provenzano era “121”.

Francesco Guttadauro. Nipote, figlio di Filippo. È in carcere in seguito all’arresto nell’operazione “Eden 2” del novembre 2014, condannato in Appello a 16 anni di reclusione. Sarebbe stato investito ufficialmente dal latitante Matteo Messina Denaro, attraverso dei “pizzini”, nel ruolo di riorganizzatore della struttura criminale minata dalle varie operazioni dei carabinieri.

Girolamo Bellomo. Nipote acquisito. Detto “Luca”, marito di Lorenza Guttadauro (figlia di Filippo), anche lui arrestato nell’operazione Eden 2 e condannato a 10 anni in Appello. Da Palermo gestiva direttamente il traffico di droga, imponeva le ditte edili e pianificava le estorsioni per controllare il territorio.

Lorenzo Cimarosa. Cugino acquisito per aver sposato la figlia della sorella di Francesco Messina Denaro. Fu uno dei personaggi di spicco ad essere arrestato nel 1998 nell’operazione “Terra bruciata”. E poi nell’operazione “Eden” del 2013. Il primo (e forse l’ultimo) componente della famiglia che è diventato collaboratore di giustizia. Le sue preziose rivelazioni sono risultate molto utili per gli inquirenti, che hanno potuto ricostruire diverse dinamiche interne alla famiglia mafiosa. È deceduto per una lunga malattia nel gennaio dello scorso anno.

Mario Messina Denaro. Cugino del capomafia castelvetranese, in quanto i loro nonni erano fratelli. È stato arrestato nell’ operazione “Golem” del 2009 e condannato con patteggiamento a 5 anni di reclusione. Secondo gli inquirenti aveva il ruolo di estortore all’interno della cosca. Fu arrestato di nuovo nel 2013 (operazione “Eden”) con l’accusa di tentata estorsione in danno dell’imprenditrice di Castelvetrano Elena Ferraro, titolare della clinica Hermes, che lo denunciò. E per questo fu condannato ad altri 4 anni e 2 mesi di carcere.

Giovanni Filardo. Cugino, figlio della sorella di Lorenza Santangelo, madre di Matteo Messina Denaro. Condannato in via definitiva per mafia a 12 anni e 6 mesi (operazione “Golem 2”), con relativa confisca di beni per 3 milioni di euro. Anche lui, secondo gli inquirenti, si sarebbe occupato di pizzini, estorsioni, reinvestimento illecito di capitali.

Matteo Filardo. Cugino, fratello di Giovanni. Anche lui arrestato nell’operazione Golem 2, accusato di una tentata estorsione, è stato poi assolto con formula piena. È attualmente indagato dalla Dda di Palermo, insieme ad altre 29 persone, nell’ambito di una serie di perquisizioni finalizzate alla cattura del boss latitante, in un blitz avvenuto nel dicembre scorso.

Redazione

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