Sono state fermate, costrette a confessare il pentimento, costrette a scusarsi. E sono state arrestate. Soltanto per aver festeggiato l’8 marzo ballando senza velo in strada a Teheran. Cinque ragazze, in Iran, avevano fatto il giro del mondo con la loro coreografia ripresa in un video e diventata virale. Sono diventate un esempio: da giorni ormai centinaia di video di altre ragazze che ballano in altre strade del Paese si stanno moltiplicando.

Il caso è esploso a Ekbatan, sobborgo urbano di palazzoni modulari da dove sono partite anche parecchie realtà musicali arrivate alla ribalta nazionale. Sempre a Ekbatan hanno preso a scendere in strada le ragazze dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne di origini curde fermata in un parco della capitale perché indossava in maniera scorretta il velo obbligatorio per tutte le donne e morta mentre si trovava in stato di detenzione. Per la famiglia a causa di maltrattamenti. Da allora l’Iran è stato attraversato da proteste così diffuse e partecipate come mai era successo dall’inizio del regime islamico nel 1979.

Le ragazze avevano ballato in occasione della Giornata internazionale della donna. La canzone era Calm down di Rema e Selena Gomez. Il video terminava con una delle ragazze che mimava il gesto di tirare un calcio all’obiettivo. La notizia del fermo delle ragazze, per due giorni, e del pentimento era stata rilanciata dall’account twitter di Ekbatan. L’account riportava una fotografia con le donne in piedi con il capo coperto dal velo e vestite con abiti larghi. Il 14 marzo ha preso a circolare un nuovo video con le ragazze che con il capo coperto fornivano una confessione che aveva tutta l’aria di essere forzata. “Siamo colpevoli di aver ballato”. Erano state identificate grazie a telecamere del circuito chiuso di sicurezza. Sono state convocate per un avvertimento e poi sono state chiuse per due giorni in cella.

“Queste donne guideranno la rivoluzione con il sostegno degli uomini e guadagneranno la libertà”, ha scritto su Instagram l’attivista Masih Alinejad. “È tutto molto più importante di un balletto, è una forma di disobbedienza civile ad ampio raggio lanciata dall’epicentro della rivoluzione, è un simbolo”, ha spiegato a La Stampa Bahram, farmacista di quarant’anni che abita a mezzora di macchina a Ekbetan Town.

Prima dei balletti, e da quando le proteste hanno infiammato il Paese, erano diventati virali altri gesti contro le autorità di Teheran: il taglio delle ciocche di capelli, gli incendi del velo, gli schiaffi ai turbanti dei religiosi sciiti in strada. La repressione resta durissima. Oltre 100 persone in tutto il Paese sono state arrestate nei giorni scorsi per l’avvelenamento di migliaia di studentesse avvenuto in circostanze non chiare, accusando i presunti autori non identificati di avere legami con gruppi “ostili”.

Secondo gli oppositori del regime i casi erano stati una vendetta nei confronti dei giovani e delle giovanissime che hanno sostenuto la protesta per Mahsa Amini. La Corte Suprema iraniana ha confermato la condanna a morte del dissidente svedese-iraniano Habib Farajollah Chaab, alias “Habib Esiyod”, che era scomparso due anni fa, catturato in un aeroporto turco. È accusato di “corruzione in terra per la formazione, la gestione e la guida del gruppo ribelle Harakat al-Nidal e per aver progettato ed eseguito numerose operazioni terroristiche nella provincia del Khuzestan”.  La sua confessione in un programma televisivo iraniano di essere un agente dei servizi sauditi era stata considerata dalle opposizioni una farsa.

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