Proteste, appelli, manifestazioni e raccolte firme in tutto il mondo. Niente, non un passo indietro da parte delle autorità di Teheran, nessuna apertura neanche da parte della guida suprema della Repubblica islamica. Il nome dell’ayatollah Ali Khamenei è stato criticato, offeso, suoi ritratti dati alle fiamme, la sua autorità messa in discussione. Niente di tutto questo farà arretrare la repressione delle proteste che da metà settembre attraversano il Paese. “Hanno indubbiamente commesso tradimento e le rispettive organizzazioni devono seriamente, e in modo equo, combattere questo tradimento”, ha dichiarato la Guida Suprema attaccando i manifestanti come riporta la Tv di Stato.

Le manifestazioni sono esplose in tutto l’Iran dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, fermata in un parco a Teheran dalla polizia morale perché indossava in maniera scorretta il velo obbligatorio per le donne. Da quel momento le proteste sono esplose nel Kurdistan iraniano e si sono propagate in tutto il Paese, le più imponenti dall’insediamento della Repubblica Islamica dal 1979.

Secondo l’agenzia per i diritti umani Hrana 519 persone – tra cui 70 minori e 68 membri delle forze dell’ordine – hanno perso la vita nelle proteste, circa 19mila quelle arrestate e detenute. Per il leader religioso e politico sciita sono “poche persone radunate nelle strade, che hanno gridato e dato fuoco a cassonetti con il solo obiettivo di distruggere i punti forti del sistema e fermare la produzione e il turismo in Iran”.

Per Khamenei “la mano degli stranieri, americani ed europei, nelle rivolte è così ovvia che non può essere ignorata”. Gli stranieri sono i nemici di sempre: Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita. “I media occidentali, arabi ed ebraici, come anche i social network, stanno tentando di diffondere l’idea che le attuali rivolte mirano a criticare i punti deboli esistenti nella gestione del paese rispetto all’economia ma di fatto sono contro i nostri punti forti”.

E a proposito di media occidentali, è durissima la condanna contro Charlie Hebdo, il settimanale satirico francese che la settimana scorsa ha pubblicato diverse vignette satiriche contro le autorità iraniane e la repressione. “Ricorrere ad insulti con il pretesto della libertà prova chiaramente l’assurdità della logica di coloro che offendono e la loro disperazione nel trovare soddisfazione dalla cospirazione del caos e dell’insicurezza in Iran”, ha dichiarato, citato dall’agenzia Irna, il Presidente Ebrahim Raisi che ha espresso tutto il suo sdegno per le vignette che “insultano la leadership religiosa e i valori umani e religiosi del popolo iraniano”.

Non si ferma intanto la repressione: altre quattro le condanne a morte in programma. I manifestanti Kambiz Kharot, Saleh Mirhashemi Baltaghi, Majid Kazemi Sheikhshabani e Saeed Yaghoubi Kordsofla sono stati accusati di “muharebeh”, “inimicizia contro dio”, oltre che di “minaccia alla sicurezza del Paese e “attacco terroristico armato”. Il calciatore Amir Nasr Azadani – 17 presenze nel massimo campionato iraniano con Rah Ahan e Tractor – invece è stato a 26 anni di carcere. Già condannato a morte il mese scorso, ora è stato riconosciuto colpevole di aver partecipato alle proteste di Isfahan dello scorso novembre in cui sono morti tre uomini della milizia paramilitare basiji. Delle venti persone condannate a morte nell’ambito delle proteste, quattro sono state eseguite e altre due sono state sospese. Secondo BBC persian il giornalista Mohsen Jafarirad, reporter di 36 anni, si sarebbe ucciso dopo essere stato scarcerato. “Suicidio dopo la libertà – ha scritto il collega Hosang Golmakani su Instagram – Qualche settimana fa, durante i disordini a Karaj, Moshen è stato arrestato mentre si recava a casa sua. Poi è stato rilasciato”.

“Questo regime deve essere rovesciato”, ha condannato su Twitter anche Reza Pahlavi, figlio maggiore dell’ultimo scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi e della sua terza moglie Farah Diba. “Milioni di iraniani sono preoccupati per le vite di Mohammad Ghobadlu e Mohammad Broghani, altri due giovani patrioti che potrebbero essere giustiziati dalla Repubblica islamica in qualsiasi momento”.  Sul Paese grava da anni una profonda crisi economica anche a causa di quelle sanzioni arrivate dopo il fallimento del patto sul nucleare (Jcpoe) da cui gli Stati Uniti sono usciti unilateralmente nel 2018 per volere dell’allora presidente americano Donald Trump.

Avatar photo