Produrre acciaio senza inquinare è possibile? Le recenti vicissitudini giudiziarie dell’ex Ilva di Taranto hanno riportato all’attenzione generale il confronto tra produzione siderurgica e ambiente. Un dilemma le cui soluzioni vengono ciclicamente riproposte in un eterno dibattito che pone in contrapposizioni gli interessi dei lavoratori e quelli della salute dei cittadini.

Che produrre acciaio sia fondamentale è un dato di fatto: la siderurgia rappresenta uno dei principali settori produttivi su cui si fonda l’economia nazionale di un Paese manifatturiero come l’Italia. Insieme ad altri settori, come la chimica e la meccanica, l’andamento della siderurgia è un importante indicatore della posizione congiunturale del sistema economico nazionale rispetto alle diverse fasi del ciclo economico. Ma, un settore siderurgico che sia a impatto ambientale zero è pura fantascienza o è una reale possibilità? Quando si parla di siderurgia è importante ricordare che esistono prevalentemente due modi per produrre acciaio: il ciclo integrato con altoforno, che è il caso dell’impianto di Taranto, e il ciclo con forno elettrico ad arco. Oggi il 75 per cento dell’acciaio nel mondo viene prodotto con il ciclo integrato, mentre il 25 per cento con forno elettrico. Il secondo è però molto meno inquinante, perché richiede meno minerale di ferro e carbone e permette di riciclare una maggior percentuale di rottame di acciaio.

È così che si opera a Terni, dove le storiche Acciaierie producono acciaio mediante la tecnologia del forno elettrico, mettendo in atto quello che può definirsi un vero esempio di economia circolare. L’acciaio infatti è un materiale permanente: può essere riciclato all’infinito senza perdere nessuna delle sue proprietà originarie (resistenza, duttilità, formabilità e resistenza alla corrosione per gli inossidabili). «In questa direzione – ci spiega Massimiliano Burelli, amministratore delegato di Acciai Speciali Terni – il nostro stabilimento sta incrementando di anno in anno in modo molto significativo l’utilizzo di rottame riciclato proveniente dal recupero. Ad oggi circa l’85% dei metalli utilizzati da Ast come materia prima proviene da riciclo (rottami)». Alla base della produzione di questa realtà siderurgica ci sono due parole: economia circolare e sostenibilità, termine purtroppo spesso abusato e logorato fino a farlo diventare inutile, ma che nel suo significato più puro indica la volontà di un’azienda di creare valore nel medio lungo periodo, scambiando obiettivi di quantità con quelli di qualità.

«Parte da Terni ad esempio – aggiunge Burelli – un’importante sperimentazione energetica sull’idrogeno: la fabbrica metterà a disposizione in forma gratuita quantitativi di idrogeno, frutto di un’attività di efficientamento dei propri processi produttivi di acciaio inox, per alimentare nuovi autobus ad idrogeno che rinnoveranno i mezzi di trasporto della città». Lo stabilimento delle Acciaierie di Terni infatti è uno dei pochi siti industriali nazionali, in cui l’idrogeno è prodotto in grandi volumi e questo progetto potrebbe essere il primo step per rendere Terni hub italiano dell’idrogeno, punto di riferimento per il Centro Italia. Ci chiedevamo se produrre acciaio «green», senza inquinare l’ambiente fosse possibile? Ecco qui non solo sembra accadere, ma pare si sia trovato anche il modo di riutilizzare gli scarti di produzione per risolvere il problema dello smaltimento, con relativi costi.

«Insieme al gruppo finlandese Tapojarvi Oy – racconta Burelli – stiamo realizzando il primo impianto che permetterà di recuperare le scorie derivanti dalla produzione di acciaio inossidabile, trasformandole in un nuovo materiale per l’edilizia utilizzabile al posto di ghiaia e sabbia. La riprogettazione dell’intero processo di gestione della scoria originerà materiali più compatti con minori emissioni polverose e limitate quantità di acqua, riducendo i consumi». In pratica anche lo scarto del prodotto, che prima finiva in discarica, oggi potrebbe trovare nuova vita.
Evitare l’immissione in atmosfera di grandi quantitativi di anidride carbonica è lo scopo invece dell’impianto per la generazione di vapore a recupero, grazie al quale l’Acciaieria ha portato al 70% la quota di vapore prodotto senza l’utilizzo di combustibili fossili: «Per dare una dimensione del dato – precisa l’Ad di Ast – le 30 mila tonnellate annue di CO2 non immesse, corrispondono ai consumi di 15 mila famiglie: è come se un terzo degli abitanti di Terni non utilizzasse più il gas naturale per soddisfare i propri fabbisogni energetici».

Utilizzare il treno al posto dei camion per trasportare le merci è un altro modo per abbattere le emissioni di anidride carbonica nell’aria: «Ad oggi il 60% dei prodotti di Ast viaggia su rotaia – chiosa Burelli – Grazie a questo incremento in tutto il 2020 siamo riusciti a risparmiare 18057 tonnellate di CO2».