Il rapper Niko Pandetta, nome d’arte di Vincenzo Pandetta, classe 1991, catanese dal quartiere Cibali scrive una lettera dal carcere di Opera a Milano dove è detenuto, a tre mesi dall’arresto: “Fatemi pagare per i miei sbagli, non per la mia musica”.

“Il giorno che mi hanno portato a Opera qualcuno ha festeggiato”, così esordisce nella missiva-social indirizzata ai suoi fan e pubblicata su Instagram dopo un segnale di allerta condiviso su sfondo nero per attirare la massima attenzione. Racconta poi di essere stato in isolamento “senza poter rivolgere la parola a nessuno, senza nemmeno le sigarette”, solo con sé stesso.  “Dopo quella settimana – scrive – mi hanno portato nella sezione di tossicodipendenti, senza farmi analisi di nessun tipo, né nessun tipo di colloquio”.

Con la direttrice del carcere sarebbe riuscito a parlare una sola volta. “La sua priorità – spiega Pandetta – è stata chiamarmi a colloquio non per parlare della mia rieducazione, né tantomeno per provare a capire le mie problematiche da detenuto. Ci ha tenuto però ad umiliarmi, come persona e come artista. Dall’alto della sua ostentata superiorità ha giudicato me e la mia musica e mi ha fatto capire che infondo non siamo tutti uguali, ma questo lo sapevo già”.

Inoltre, colloqui e telefonate negate. Richieste che sarebbero continuamente rigettate: “Vedo gli altri detenuti andare a colloquio con familiari e amici, a me negano, negano tutto nonostante non abbia niente di diverso dagli altri. All’accanimento già c’ero abituato, ma quello che stanno provando a fare ora è distruggermi fisicamente e mentalmente”.

Poi l’episodio delle videochiamate per cui ha ricevuto un rapporto e una denuncia a causa di uno screen che un’altra persona avrebbe fatto e pubblicato su TikTok, che è diventato virale. “Non ce la faccio più a subire tutto ciò”, dice ancora nella lettera e per questo motivo dichiara di aver iniziato lo sciopero della fame. “Spero presto – conclude – di essere trasferito in una struttura in cui i miei diritti di detenuto possono essere rispettati”. Sottolinea infine di non pretendere alcun favoritismo, ma di desiderare “solo di ricevere lo stesso trattamento che le strutture carcerarie riservano a tutti gli altri detenuti”.

Redazione

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