L’impressione è che Harris sia andata (e forse si sia preparata) meglio. Non solo per le risposte e per i contenuti, ma soprattutto per il linguaggio del corpo e l’appello finale. Trump non ha praticamente mai incrociato il suo sguardo. Viceversa, Harris ha spesso guardato il suo avversario, denotando maggiore sicurezza e convinzione. Entrambi hanno giocato molto con le espressioni facciali, sapendo di essere sempre inquadrati, anche durante l’intervento altrui.

Harris però è riuscita a sfoggiare un sorriso rassicurante, non perdendo mai la calma e mostrandosi serena e credibile anche di fronte a colui che è notoriamente un grande provocatore. Sul linguaggio del corpo, quindi, meglio Harris. Sulla comunicazione verbale invece, Trump ha confermato le sue doti: un linguaggio semplice, concreto ma evocativo, che parla per immagini. Harris talvolta è apparsa un po’ sofisticata e un po’ lunga nei tempi, presa dall’ansia di dire tante cose.

In questi casi “less is more”, non serve inondare gli elettori di mille contenuti. Efficace Harris, invece, nei colpi direttamente mirati alla persona di Trump (disgrace, weak and wrong) e nel richiamo ai 200 Repubblicani che hanno lavorato con Bush, Romney e MacCain, tra i quali Dick e Liz Cheney, e che oggi la appoggiano.

L’appello finale di Harris è stato molto orientato all’elettorato moderato e indeciso, cioè a quel target che dovrebbe risultare decisivo nei Swing States. Il messaggio, in sintesi, è stato: io sono la novità e sono colei che può unire un paese così polarizzato, guardando al futuro e non al passato. Quello di Trump è stato sui generis: tutto su di “loro”, sugli avversari e sugli errori, veri o presunti, del ticket Biden-Harris. Il che fa capire che forse nel team Trump non hanno trovato una nuova strategia vincente per attaccare Harris. Si continua a fare una campagna contro Biden. Tuttavia, non ricordo un appello al voto del tutto incentrato sugli avversari. Una scelta che può, al massimo, convincere a non votare per Harris, ma è mancata la “call to action” per andare a votare per Trump.

Luigi Di Gregorio

Autore