Questo è un libro fondamentale per capire cosa sta succedendo alla più antica democrazia del mondo, alla nostra America che avevamo tanto amato. L’assunto di fondo del libro di Monica Maggioni, “The Presidents” (Rai Libri) è questo: «Il nuovo Trump non sta improvvisando quasi niente. Ha degli obiettivi di lungo periodo e di brevissimo. In mezzo ci possono essere molti errori, marce indietro e ripensamenti, che però non modificano il disegno generale». Per arrivare a questa conclusione, la giornalista ripercorre la storia e il pensiero della nuova destra americana. Di cui Trump è il prodotto. Ma che dietro ha una complessa storia di personaggi, teorie, storie.

“The Presidents” è una squadra di mostri del pensiero e dell’azione, una confraternita di assetati di soldi e potere: il Teatro di David Mamet è niente, al confronto. Ma davanti a un libro come questo, forse è inutile fare troppe considerazioni. Meglio che il recensore lasci la parola all’autrice. «Trump seconda versione è entrato alla Casa Bianca con un team pronto a gestire la transizione dall’amministrazione Biden, un team che sa esattamente dove mettere le mani. Non era andata così nel 2016 quando, attorno all’improbabile candidato, si muoveva una parte dell’establishment repubblicano e molti altri personaggi fedeli al presidente, che però non avevano la minima idea di quel che c’era da fare. Ora è tutta un’altra storia. Ci sono nuovi protagonisti che conoscono il governo da dentro perché da anni fanno affari con il dipartimento della Difesa, con il ministero della Salute, con gli apparati di ricerca. Sanno come ci si muove nei corridoi di Washington e costruiscono un reticolo di persone, interessi, denari: uomini chiave al posto chiave. Eppure, chi parla di Trump sembra non riuscire a sottrarsi alla tentazione di dipingerlo come la solita macchietta, il solito character eccessivo e a tratti grottesco. Che in parte è. Ma non è più solo. Gli uomini attorno a lui hanno pianificato la costruzione di un impero: grazie alla tecnologia e al loro potere finanziario».

Gli altri, dunque. Peter Thiel, per cominciare. Uno che negli anni Novanta scrive che «la Vanità può essere soddisfatta solo dall’oro a fiumi. I nostri sogni hanno bisogno di tempo, mezzi fisici e pensiero scrupoloso prima di poter essere realizzati. Bene, l’oro contiene tutte le cose in embrione; l’oro realizza tutte le cose per noi». Maggioni ricorda che nei discorsi di Thiel ritorna il Leviatano, Hobbes, la costruzione di un sistema assolutistico in cui «il monarca sia libero di agire sciolto da tutte le forme di limitazione e regolamentazione. Un monarca in grado di tenere sotto controllo la naturale tendenza alla violenza e al conflitto insita nel genere umano». Niente più regole: «Nel momento più caotico della storia americana moderna, a Thiel sembra di vedere una via per uscire dalla stagnazione. Quella via si chiama Donald Trump». Thiel è un miliardario. Come tutti quelli della corte di The Donald. È il denaro, come in Balzac, che fa muovere tutti gli ingranaggi. Maggioni cita l’usuraio Gobseck balzachiano: «Esiste una sola realtà concreta abbastanza invariabile da meritare di essere presa in considerazione, ed è l’oro. L’oro rappresenta ogni forma di potere umano… Quando tutte le sensazioni sono esaurite, tutto ciò che sopravvive è la Vanità […]. La Vanità può essere soddisfatta solo dall’oro a fiumi». Non a caso Trump ha i rubinetti d’oro nelle sue magioni.

Ma «il personaggio più appariscente per chi compila le cronache quotidiane è l’ultimo arrivato, il più pittoresco: Elon Musk. Musk è stato spesso dipinto come un genio. Lo è ma nel senso che è un mezzo matto. Il disgusto per il progressismo, il wokismo, il conformismo di un certo mondo è rimasto una specie di ossessione. Si convince che ci deve essere necessariamente una élite a più alto quoziente intellettivo in grado di proiettare l’esperienza umana nel futuro. Ma il progetto non prevede la salvezza dell’intera umanità: piuttosto si tratta di preservare una élite che rappresenti nel futuro l’esperienza del passaggio degli umani sulla terra. D’altronde i suoi libri preferiti, Tolkien, gli elfi, la fantascienza, contengono spesso il racconto di un piccolo gruppo illuminato che si salva». Primo, salvare l’America; secondo, salvare l’umanità. Internet, la Casa Bianca, Marte, il tutto condito da una “ideologia” nella quale la razionalità della tecnica sfonda la barriera della ragionevolezza.

E poi c’è JD Vance «che arriva a ritenere che i poveracci stessi abbiano una buona parte della responsabilità delle loro vite disperate. Ha visto padri e madri di famiglia indebitarsi sapendo che non avrebbero potuto ripagare i prestiti ottenuti. Uomini incapaci di rimettersi in gioco, fino in fondo, per cambiare la propria esistenza». Prima che il doppio trauma Torri Gemelle-Lehman Brothers sconvolgesse del tutto le menti di questi giovani miliardari, «ora che ce l’ha fatta, è come se il ragazzo degli Appalachi dicesse loro: fate come ho fatto io. Mi sono rimboccato le maniche, mi sono arruolato, ho sputato sangue, guadagnato i soldi per il college. E non ho mai smesso: ho studiato e lavorato duro ed eccomi qui. Ricco, risolto ma, soprattutto, potente». Infatti la corte trumpiana è fatta di questi «politici tutti nati tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Nessuno di loro è vecchio abbastanza da aver vissuto sulla propria pelle la Guerra Fredda, nessuno considera la Russia il principale nemico da cui guardarsi». Anche per questo non gliene frega niente dell’Ucraina, dell’Europa. «Piuttosto, la sfida è nei confronti dell’Islam, la minaccia è quella dell’invasione mediorientale. Hanno sentito parlare molto di più dello scontro di civiltà che delle tensioni con Mosca o Cuba. Hanno visto gli aerei dei terroristi di schiantarsi contro le Torri Gemelle: sono stati segnati dal trauma dell’11 settembre e sono cresciuti con l’idea che, innanzitutto, l’America debba proteggersi dalle aggressioni che possono arrivare sino dentro il proprio territorio». Per questo «la loro idea di America assomiglia più a un “noi contro tutti”, piuttosto che al governo di un ordine mondiale. Sembrano delineare un disegno imperiale che non trova similitudini nella storia americana».

Non solo Roosevelt e Kennedy, ma persino Nixon, Reagan e Bush sono spazzati via. Non parliamo poi di Clinton e Obama. Tutto ciò si ammanta finanche di spirito religioso. Kevin Roberts sostiene che la sua vera seconda rivoluzione troverà compimento solo nel 2050 e coinciderà con un “great awakening”, un grande risveglio che porterà l’America a Dio. È gente che legge Sant’Agostino, interpretandolo male. Anche Elon Musk è «davvero di un cosmico pessimismo, avverte sempre un senso di tragedia incombente che convive con la missione salvifica di cui si sente investito». Ed è «un avventuriero». Lo stiamo vedendo nel match durissimo con il presidente. Perché alla fine c’è lui. Lo Sceriffo della Casa Bianca, il “mad dog” di Mar-a-Lago.

Il racconto di Maggioni qui sembra un romanzo ma purtroppo non lo è. Giovane, sfrontato, ignorante, pronto a tutti, negli anni Settanta arriva nella Manhattan lurida di “Taxi driver” per ripulirla e poi mangiarsela. Dietro ha Roy Cohn, un avvocato-avventuriero: «Il mondo è una giungla, sii belva e sopravviverai. Minaccia, vendicati, non ammettere mai la sconfitta, nemmeno di fronte all’evidenza. Ti attaccano? Ti criticano? Non difenderti, attacca più forte, molto più forte. Fai causa, spaventali, rovinali». Donald si abbevera di questo sangue e piano piano diventa Trump. Corrompe, mistifica, minaccia. Non si ferma davanti a niente e nessuno. D’altronde, «vendicati sempre» è il suo Vangelo. “The Presidents” fa paura. E non è affatto finita.