Dal parricidio di Beppe Grillo è nata, dunque, una nuova forza “progressista indipendente“, cioè libera di stipulare patti e alleanze a seconda delle convenienze del momento. La cosa non deve menare scandalo. Infatti il termine “progressismo” nasce nel campo storico della sinistra europea come antagonista del conservatorismo, ma resta una dichiarazione di principio in cui la lotta contro le ingiustizie sociali può essere declinata in modi anche del tutto contrastanti. Erano progressisti Robespierre e Napoleone, Turati e Lenin, Rosa Luxemburg e Friedrich Ebert, Togliatti e Carlo Rosselli, Craxi e Berlinguer. E oggi lo sono Matteo Renzi e Massimo D’Alema, Emmanuel Macron e Jean-Luc Mélenchon, e l’elenco potrebbe continuare.

Riformismo invece è un termine che indica – più che una tavola di valori – una strategia politica per realizzare l’obiettivo di una società più equa e, insieme, più prospera. Vede la luce in Inghilterra tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, nel corso della campagna per l’allargamento del suffragio universale culminata nel Reform Bill del 1832, che ampliava l’accesso al voto dei ceti borghesi. La sua nascita, dunque, è legata alla storia della democrazia rappresentativa. Verrà poi usato in contrapposizione al massimalismo rivoluzionario, per designare le politiche di welfare state delle socialdemocrazie europee. La prospettiva di un’economia pianificata e di una società senza classi cede quindi il passo a una concezione secondo cui il capitalismo non va abbattuto, ma “civilizzato” attraverso correzioni graduali delle sue storture e delle sue disuguaglianze. In questo senso Eduard Bernstein diceva che “il movimento è tutto e il fine è nulla”.

Per altro verso, anche una forza sedicente progressista dovrebbe distinguersi per le sue idee, la sua capacità di proposta, il costume dei suoi gruppi dirigenti, e non perché considera i programmi alla stregua della promozione pubblicitaria di un prodotto, a cui non si chiede tanto di essere credibile ma gradevole. In altre parole, un partito non può vivere senza princìpi e senza una cultura politica trasparente che orienti le sue grandi scelte. Forse così può anche tirare a campare, ma si espone inevitabilmente al rischio dell’opportunismo più disinvolto: per cui si può scoprire proporzionalista o maggioritario, ecologista o industrialista, liberista o assistenzialista, garantista o giustizialista, pacifista o filoputiniano. Del resto, come avvertiva Alessandro Manzoni, “non sempre ciò che vien dopo è progresso” (“Del romanzo storico”, 1830).